IL FANTASMA DI CORLEONE

Ad un paio di mesi dall’uscita dell’ottimo lavoro di Marco Turco, In un altro paese, un nuovo documentario sulla mafia viene distribuito (non senza problemi) in dieci sale italiane. Il fantasma di Corleone mostra numerose differenze rispetto al film di Turco, per quanto riguarda argomento, approccio e stile.
Il nucleo centrale del documentario è la misteriosa figura di Bernardo Provenzano, boss storico della mafia, latitante da quarantatre anni. Questa nuova e interessante riflessione sull’evoluzione di Cosa Nostra, spunta fuori in giorni in cui le dichiarazioni dell’avvocato difensore di Provenzano, Salvatore Traina, fanno il giro di tutte le televisioni italiane. Secondo il legale, assunto dall’anziana madre del boss, il “fantasma” sarebbe tale già da anni, e che le analisi del DNA effettuate su frammenti di prostata di Provenzano (gli inquirenti sostengono si sia operato a Marsiglia), sarebbero un clamoroso falso. L’ Avv. Traina, che per segreto professionale non conferma né smentisce un incontro con il suo assistito, sostiene inoltre di avere delle prove per cui la ricerca del latitante sarebbe una manovra per coprire interessi economici di ‘qualcun altro’.
Il mistero del ‘fantasma’ si complica ulteriormente quando viene affrontata l’ascesa di Provenzano e del suo clan corleonese, e quando si cerca di ripercorre gli spostamenti da lui effettuati, fino alla la presa del potere dopo l’arresto di Totò Riina. Finora, malgrado i boss storici della mafia siano stati tutti condannati, del contadino di Corleone si sa poco o niente. Si continua a dare la caccia ad un’ombra che sfugge al suo ‘cacciatore’ Giuseppe Linares, capo della squadra mobile di Trapani, che scampa ai blitz dei nuclei operativi antimafia, che addirittura si fa una plastica facciale. Il giovane reporter protagonista dell’indagine, avanza l’ipotesi che i misteriosi arresti degli altri boss siano in qualche modo collegati alla latitanza di Provenzano. O meglio: sembrerebbe che qualcuno abbia voluto il loro arresto, ma non quello di Provenzano. Lardo, il pentito che collaborava con il maresciallo Michele Riccio, stava quasi per consegnare su un piatto d’argento il ricercato, ma i suoi superiori hanno negato l’autorizzazione al blitz. L’ex uomo di Cosa Nostra venne freddato poco dopo. Giuffrè, altro pentito, parla di collusioni tra mafia ed esponenti politici, tra cui i pionieri di Forza Italia, Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri.
Il giornalismo investigativo alla Michael Moore è il nucleo centrale dell’approccio di Marco Amenta, che sembra non voler rivelare verità sconcertanti, ma raggiunge lo scopo di informare, dato che in questi ultimi anni di mafia si è parlato ben poco. L’analisi della figura di Provenzano o, se vogliamo, del suo spettro, viene effettuata a tutto tondo: tramite studi effettuati dagli psicologi della mafia e le dichiarazioni dei pentiti e degli inquirenti, che per anni hanno inseguito invano un uomo il cui volto si può ricostruire solo tramite un’elaborazione in digitale di una foto risalente agli anni 60’. Ma non solo. Il regista integra alle interviste alcune ricostruzioni di momenti della vita del latitante, dall’infanzia tra i campi di grano alla presa del potere, cercando di ipotizzarne i tratti caratteriali. Avvalendosi dell’interpretazione di Marcello Mazzarella, mai inquadrato in volto, Amenta compie il tentativo di farci vedere con gli occhi del boss e di immergerci nella mentalità di un ‘uomo d’onore’, tra le sue paure, la sua freddezza, le sue possibili riflessioni su cosa significhi essere il capo in fuga della più grande associazione a delinquere del mondo.
Dal punto di vista tecnico il film non arriva al livello del lavoro di Marco Turco, soprattutto per quanto riguarda la costruzione storica, ma ha l’enorme pregio di trattarsi di un importante passo in avanti della nostra produzione cinematografica indipendente verso tematiche di grande spessore sociale (se ne sono accorti anche a Paestum, dove il film ha avuto la menzione speciale al Mediterraneo Festival). Il cinema diventa così un valido strumento di controinformazione, un mezzo con cui la figura del giornalista tende a rappresentare al meglio la sua funzione: quella di fare domande, di ricostruire fatti e, possibilmente, di dare risposte. E la gente ha bisogno di risposte. Ma l’argomento Cosa Nostra sembra essere stato obliato negli ultimi anni, se non in deliranti affermazioni come quella del ministro Lunardi: “Bisogna convivere con la mafia”. Silvio Berlusconi ci insegna che è possibile, data la presenza di Vittorio Mangano ad Arcore. Ma non crediamo che la maggioranza degli italiani, e in particolar modo dei siciliani, sia dello stesso avviso.
(Id.) Regia: Marco Amenta; sceneggiatura: Andrea Purgatori, Marco Amenta; fotografia: Fabio Cianchetti; montaggio: Patrizia Cesarani, Claudio Di Mauro; musica: Paolo Buonvino, Mario Modestini; interpreti: Marcello Mazzarella (Bernardo Provenzano); produzione: Simonetta Amenta e Ruggero Di Maggio per Eurofilm, Mediterrane Film France, Arte France, CNC, Programma Media Cinema; distribuzione: Pablo (2006); origine: Italia; durata: 80’.
