Il grande sogno

Il miglior film di Michele Placido, a maggior ragione oggi, dopo aver visto Il grande sogno, rimane Un eroe Borghese. Il più caldo, preciso e forte, dei suoi lavori. Romanzo criminale era accattivante e furbo, forte del romanzo da cui partiva, film adattisimo per il grande pubblico.
Il grande sogno, invece, è un lavoro che si arena a metà tra il didascalico e il personale, tra lo storico e l’artistico, ed è alla fine vacuo dappertutto, perchè poco forte in senso storico, e poco bello da un punto di vista cinematografico. E quella poca discutibile e traballante autorialità che si respira attraversando il racconto, la intuiamo persino capace di allontanare l’opera dal consenso delle masse. In bocca al lupo, allora, a questo film confuso, troppo sintetico e troppo scolastico al tempo stesso. Che la sorte lo aiuti, perchè tanto è imperfetto quanto poco è furbo, ed in questo senso merita rispetto.
La sensazione dominante, dopo aver provato ad antrare dentro il grande sogno dell’attore/regista italiano, è che di questo sessantotto steso sopra la pellicola, non ci sia molto di interessante. Per chi tanto sa dei numerosi e complessi fatti accaduti in quel periodo, dalla metà degli anni sessanta a Piazza Fontana, il film di Placido non aggiunge nulla di nuovo. Per chi poco sa, invece, di questa esplosione culturale chiamata sessantotto, il film è poco chiaro, poco esaustivo, poco armonico e persino poco affascinante. Mai emozionante. Tutto è compresso all’estremo, e alla leggera.
Il rapporto col mondo tutto, lontano, del sessantotto italiano, si consuma in una frase veloce, rapida, appoggiata sul nulla. E’ morto Che Guevera. Ok, poi subito l’aula dell’università, col professore idiota, dinosauro già visto, stereotipato al massimo, come quasi tutto ciò che è trattato dal film, che umilia uno studente per altro senza alibi, nè armi per rispondere. Questo dello studente meridionale fuori corso è un piccolo dettaglio de Il grande sogno, che però, sommato a tanti, troppi altri della pellicola, fa la differenza tra un bel film e un brutto film. "Chi lavora pensi a lavorare, lo studio è per chi può permetterselo", dice l’insegnante. Frase irritante, e scontata, ghiottissima palla al balzo per il discorso sicuro, sciolto e intelligente a tavolino, di due belle facce del giovane cinema italiano. Jasmine secca il docente; Argentero lo insulta dandogli del tu. E’ come se il regista sapesse che il cinema italiano di largo consumo abbia già spiegato queste situazioni, e allora le velocizza e taglia dove può, cercando di rispettarne l’importanza, ma evitando di ripetere qualcosa di già raccontato. Ma non riesce a riempire gli spazi, che allora rimangono vuoti, di qualcos’altro, che sia nuovo o più semplicemente interessante. Smontata in due minuti l’autorità, (anche quella familiare) arriva l’ora del sesso, roba che neanche La meglio gioventù, che di anni ne raccontava una trentina di più, aveva mai sognato di correre così tanto.
I protagonisti de Il grande Sogno non spiegano, eseguono una per una le sequenze, saltano da scena a scena, da tema a tema, e la regia non fa nulla per avallare la tesi di un film diciamo d’autore. Perchè la prima volta della Trinca, allora, cattolica borghese da cartolina, non avverebbe in quella maniera televisiva, classica, nel momento teso dell’irruzione poliziesca nella facoltà. Sesso e botte, manichesmi scontati, obbligati, per certi versi, ma per questo non trattabili in un’unica maniera artistica. E poi Valle Giulia, all’improvviso, toccata senza parole che invece sarebbero sate utili, giocata con un "ci vogliono fottere" e con un casino di comparse, manganellate e ralenti. Finita su un poliziotto spaesato che da infiltrato in borghese si trasforma in soldatino buttato nella mischia, oggetto incosciente incarnato da uno Scamarcio paesano che ci ricorda quello di Verso L’eden.
Ci è venuto qualche dubbio sulla verosimiglianza del film, quando siamo stati costretti ad accettare l’incontro spiacevole tra il poliziotto ingenuo, (un pò Romanzo popolare, un pò Trevico Torino, viaggio nel fiat nam) e la cattocomunista intelligente, semi silenziosa e sensibile, che la Trinca veste di una sobrietà poco entusiasmante. E questa sensazione di distanza dalla storia narrata si è allungata fino alle effusioni erotiche tra il solito Scamarcio e la bellissima attempata Laura Morante, insegnante dell’accademia di Arte drammatica, trasgressiva, si, ma fino a un certo punto, e dunque personaggio ambiguo anch’essa, di un’ importanza che fatichiamo ad individuare. Bella è bella, l’ex attrice morettiana e salvatoresiana, ma poco incisiva in questa pellicola all’idrolitina.
Infine, improvvisa, anche stavolta povera di argomentazioni, la svolta armata di una parte dei ragazzi. Quest’ultimo è uno degli aspetti più delicati del sessantotto italiano, uno dei più controversi e discussi. Nel film tutto si risolve in pochi istanti: Argentero mostra come si costruisce una molotov e tutto è compiuto. Un colpo d’accetta separa due sponde, La meglio gioventù da una parte, e i compagni che sbagliano dall’altra. La luce e l’ombra sulle didascalie finali, chiusa svogliata e frettolosa, chi insegna fisica negli Stati Uniti, chi vive a Parigi, chi si è fatto la galera e chi si è fatto la carriera.
Da attore, quella di Michele Placido, che mescola un sessantotto fragilissimo da toccare e insufficientemente trattato, con la sua autobiografia sincera e poco importante ai fini della pubblica utilità. Il gioco non riesce, il film non è un granchè, lo sorregge qualche canzone, ma lì era difficile sbagliare. Si allunga la lista dei film sul sessantotto, oggi più che mai lontano dall’essere racchiuso in una riflessione approfondita e valida. Impresa aruda per qualunque narratore. Placido si è limitato ad elencare gli aspetti più visibili e li ha romanzati partendo dal suo privato. Niente di nuovo e niente di bello.
Regia: Michele Placido; sceneggiatura: Michele Placido, Angelo Pasquini, Doriana Leondeff; montaggio: Consuelo Catucci; fotografia: Arnaldo Catinari; interpreti: Riccardo Scamarcio (Nicola); Luca Argentero (libero); Jasmine Trinca (Laura); Laura Morante; Massimo Popolizio; produzione: Taodue; distribuzione: Medusa; origine: Italia, 2009.
