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Il mio amico Eric

Pubblicato il 3 dicembre 2009 da Salvatore Salviano Miceli


Il mio amico Eric

Eric Cantona non è mai stato un calciatore qualunque. Oltre ad avere indossato la maglia numero 7 del Manchester United (quella che da George Best è arrivata sulle spalle di Cristiano Ronaldo, passando per David Beckham), la sua leggenda è cresciuta grazie allo straordinaria intensità del suo gioco con cui sopperiva ad una tecnica non certo sopraffina, a quel modo di governare il campo che lo rendeva vero ed incontrastato leader della squadra, ad una personalità che andava oltre il semplice quadrato di gioco e che lo rendeva personaggio sopra le righe in qualsiasi ambiente. Alla storia sono passati i suoi goal (di testa, di destro e di sinistro, da fuori e dentro l’area di rigore), ma anche quel calcio da karateka sferrato ad un tifoso irridente (cosa che gli costò una lunga squalifica) e, last but not least, quel colletto della maglia alzato, un po’ da sbruffone, imitato negli anni 90 (e non solo) da chiunque si trovasse in un campetto davanti un pallone.
Capita così che Cantona, smessi i panni di calciatore, scriva un piccolo trattamento cinematografico che arriva tra le mani di Ken Loach e del suo fidato Paul Laverty. La storia viene notevolmente modificata ed il risultato è Looking for Eric, “commedia sociale” in puro stile Ken Loach, presentato in competizione ufficiale.
Eric Bishop è un postino dalla vita assolutamente disordinata. Si occupa di due ragazzi piuttosto sregolati, figli della seconda moglie, e vede saltuariamente la propria figlia naturale avuta dalle prime nozze con Lily di cui, pur separato, è ancora innamorato. Da solo, ogni notte, nell’intimità della propria stanza, si guarda indietro ripensando alla sua vita e ai “casini” di ogni giorno. Sua unica compagnia è un poster ad altezza naturale di Eric Cantona. Quel poster prenderà vita diventando compagno di dialogo, confidente ed emanazione della propria coscienza.
Il film diverte senza soluzione di continuità. La sceneggiatura è brillante, gli scambi tra i due Eric sono all’insegna di una ironia tanto sottile quanto spassosa. In questo quadro si instaurano gli elementi cari al regista già palma d’oro con The Wind that Shakes the Barley. La realtà della classe lavorativa britannica è raccontata con la solita attenzione da parte di Loach che centellina le apparizioni della stella calcistica, permettendosi digressioni che bene inquadrano il contesto, poco più che proletario, in cui si muovono i suoi protagonisti. È una scelta che conferisce forza al film, altrimenti semplice copertina celebrativa di Cantona, portando il regista nei territori che meglio conosce.
Le relazioni tra i personaggi vivono di quella scanzonata lealtà presente in tutte le pellicole di Loach. Sono rapporti sinceri, spesso sopra le righe, in cui non manca mai una forte impronta satirica ed incline alla reciproca presa in giro. L’epilogo, necessario e geniale al contempo, oltre che provocare un boato di esaltazione in sala, rivela la straordinaria versatilità di un regista che anche quest’anno, con un’opera come sempre intima e personale ma più ammiccante alla commedia, ha offerto alla giuria di Cannes un’alternativa interessante e fuori dagli schemi. Peccato che se ne sia andato dalla Croisette a mani vuote.




L’articolo è stato redatto durante la recente edizione del Festival di Cannes. (ndr.)


CAST & CREDITS

(Looking for Eric) Regia: Ken Loach; soggetto e sceneggiatura: Paul Laverty; fotografia: Barry Ackroyd; montaggio: Jonathan Morris; musica: George Fenton; interpreti: Steve Evets (Eric Bishop), Eric Cantona (se stesso), Stephanie Bishop (Lily), Lucy-Jo Hudson (Sam); produzione: Sixteen Films; distribuzione: Diaphana Distribution; origine: UK; durata: ‘116;


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