IL MIO MIGLIORE AMICO

“L’amore qualche volta si vende, l’amicizia mai!”
E’ su questa sacralità dell’amicizia, e particolarmente dell’amicizia virile - celebrata dall’epica antica così come dal costoso vaso funerario, qui motore dell’azione - che si fonda il nuovo film di Patrice Leconte.
Costruito come un vero pamphlet o racconto morale, per dirla alla Rohmer, Il mio migliore amico si offre come “ricerca del sacro graal” in cui il premio è il conseguimento della vera amicizia, fidata e sincera, da parte di qualcuno su cui poter contare nel momento del bisogno.
Una storia di buoni sentimenti che Leconte cerca di raccontare con brio e un certo elegante distacco, stemperando con l’ironia i facili moralismi disseminati lungo la via della critica alla modernità.
Affidandosi al consolidato mestiere dell’amico (sarà la vita che imita l’arte?!) Daniel Auteil - già con Leconte ne La ragazza sul ponte e L’amore che non muore - il regista tratteggia la figura del tipico uomo contemporaneo, di successo ma solo, nonostante i numerosi appuntamenti in agenda: un uomo per cui è difficile comunicare ed esternare, o addirittura provare, dei sentimenti.
Auteil adatta per la commedia i tratti di uno dei suoi ruoli migliori, lo Stephan di Un cuore in inverno, altro personaggio schiacciato dall’incapacità di vivere le proprie emozioni.
Ma ne Il mio migliore amico si è ben lontani dalle caratterizzazioni di spessore di un certo cinema francese, e dagli esiti che lo stesso Leconte aveva raggiunto in pellicole più azzardate - forse anche meno equilibrate stilisticamente - ma in cui si riscontrava una sperimentazione, la ricerca di un tono pertinente alla vicenda, quello rarefatto e surreale de La ragazza sul ponte o le atmosfere crepuscolari del bellissimo L’uomo del treno.
Niente di tutto ciò accade con questa commedia, talmente piana da annullarsi a livello visivo e da rischiare spesso un cedimento verso il cliché e lo stereotipo: l’opposizione tra i due protagonisti - il vincente arido e il perdente generoso - ricorda a tratti la coppia bizzarra de La cena dei cretini di Veber, dove l’opposizione manichea era però giustificata dal tono apertamente comico.
Il mio migliore amico è comunque una pellicola piacevole e apprezzabile ma il vero punto è un altro: cosa ci si aspetta da un film e dal cinema in senso più ampio.
Come intrattenimento di classe, infatti, l’ultimo lavoro di Patrice Leconte è ineccepibile: una sceneggiatura brillante dal ritmo sostenuto, attori in parte e una regia non virtuosa ma per lo meno fluida. Se si cerca qualcosa in più di questo, però, il film delude; se ci aspetta del Cinema sarà bene rivolgersi altrove.
Qui è la parola a dettare legge in un film “di sceneggiatura” che, nella continua ricerca della battuta sarcastica, dapprima diverte e poi finisce per stancare, mentre nei momenti più intimisti non riesce realmente a coinvolgere.
(Mon meilleur ami) Regia: Patrice Leconte; soggetto: Olivier Dazat; sceneggiatura: Jerôme Tonnerre, Patrice Leconte; fotografia: Jean-Marie Dreujou; montaggio: Joëlle Hache ; musiche: Xavier Demerliac; scenografia: Ivan Maussion; interpreti: Daniel Auteil (François), Dany Boon (Bruno), Julie Gayet (Catherine); produzione:Fidélité Productions; distribuzione:Lucky Red; origine: Francia 2006; durata: 94’; web info: sito ufficiale
