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Il mio profilo migliore

Pubblicato il 18 ottobre 2019 da Fabiana Sargentini
VOTO:


Il mio profilo migliore

Claire ha cinquant’anni, due figli, una professione di docente universitaria da far invidia. È bella, sensuale, sessualmente attiva. Cosa la induce a fingersi un’altra? Cosa si nasconde sotto un mascheramento ben celato? «Cominciamo da Ludo, tutto comincia da Ludo», così inizia la testimonianza della protagonista de Il mio profilo migliore, alla nuova psicanalista, arrivata a sostituire il suo medico precedente infartuato.

Sono seminati in giro nel racconto, sapientemente dosati, gli indizi per capire che ciò che si vede sulla scena non sempre corrisponde al vero. Identità virtuali, identità sospese, identità ribaltate. Lo spirito di Hitchcock de La donna che visse due volte, insieme a momenti di svolta sliding doors in stazioni ferroviarie o in autostrada insieme a una pirandelliana inconoscibilità del reale e alla assoluta impossibilità di una verità assoluta compongono la struttura a flash-back e flash-forward, scatole a incastro e digressioni letterarie interne alla narrazione: thriller, commedia amara, dramma melò, attualità sociale declinati attraverso un personaggio sfaccettato interpretato da Juliette Binoche, ispirata e baciata da bellezza e autenticità (chi piange sullo schermo meglio di lei?).

Doppi di specchi - la terapeuta è di alcuni anni più grande della protagonista e potrebbe essere sua amica, Alex (l’oggetto d’amore) è coetaneo di Ludo (il primo amante giovane) e di una decina di anni più grande del figlio maggiore di lei - si presentano in successione di finzione e felicità, misteri e appuntamenti al buio, tragedie annunciate e tragedie immaginate. Un film che vuole riflettere sul mondo dei social network, sull’amore, sulla mezza età femminile, sul matrimonio e le sue insidie.

Titolo originale Celle que vous croyez, quella che vi pare, come l’omonimo romanzo di Camille Laurens da cui è tratto: nessuno è come sembra, un profilo Facebook è sempre virtuale dunque può contenere informazioni inventate o prese in prestito, una nipote orfana vive in Norvegia oppure no, uno studio medico potrebbe essere una clinica psichiatrica, “nell’immaginazione ci si può concedere un lieto fine”, solo volendolo. La docente di letteratura comparata Claire Millaud, durante le sue lezioni tenute in gonna aderente e tacchi a spillo, cita Marguerite Duras (che ne L’amante osa una eroina che ha una reazione con un ragazzo di molti anni meno dei suoi) e Nora di Casa di bambola di Ibsen (che rappresenta la sposa capricciosa, infelice genitrice, donna chiusa in regole e costrizioni che non le appartengono): esempi puntuali di nature differenti che possono albergare nella stessa personalità. Claire è una moglie tradita, una amante appassionata, una madre incasinata (geniale la scena in cui fa attendere i figli - che la guardano sconcertati - in mezzo al parcheggio della scuola mentre lei conclude la telefonata amorosa girando in tondo tra le vetture), una cinquantenne che ha ancora bisogno di amore. «Non siamo mai troppo grandi per essere piccoli», viene pronunciato nel film. «Non voglio morire abbandonata», dichiara Claire devastata dal dolore.

Negli ultimi venti minuti si susseguono un numero esagerato di colpi di scena che ribaltano ogni volta ciò che si è creduto vero: non era necessario, il pubblico si era già invaghito della Binoche, ne aveva apprezzato la recitazione, era già stato catturato abbastanza dalla trama.


CAST & CREDITS

(Il mio profilo migliore); Regia: Safy Nebbou; sceneggiatura: Safy Nebbou, Julie Peyr; fotografia: Gilles Porte; montaggio: Stéphane Pereira; musica: Ibrahim Maalouf; interpreti: Juliette Binoche, Nicole García, François Civil, Marie-Ange Casta, Guillaume Gouix, Charles Berling; produzione: Diaphana Films, Scope Pictures; distribuzione: I Wonder Pictures; origine: Francia, 2019; durata: 101’


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