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Il nastro bianco

Pubblicato il 29 ottobre 2009 da Salvatore Salviano Miceli


Il nastro bianco

Agli albori della prima guerra mondiale, tra il 1913 e il 1914, in un paesino del nord della Germania, eventi sempre più gravi sconvolgono la vita di una piccola comunità protestante. Con la voce fuori campo del maestro di scuola che ricorda i fatti, facendo intuire che assisteremo ad un lungo e doloroso flashback, Das Weisse Band (t.i. The White Ribbon) irrompe nella competizione ufficiale di Cannes sconvolgendo pronostici e attese.
Il film di Michael Haneke colpisce per il suo estremo rigore, per la naturalezza con cui il racconto, che non si spinge mai verso esasperazioni particolari, tiene incollati allo schermo. Il bianco e nero della pellicola appartiene all’intimità della storia, a personaggi (bambini e adulti) rinchiusi in rigide e castranti regole figlie dell’epoca, della religione, degli accadimenti che non risparmieranno nessuno, direttamente e non. Ogni sequenza è costruita seguendo un’architettura che elimina i sentimenti, li evira di qualsiasi possibile manifestazione. I tempi del narrare non subiscono accelerazioni, seguono una linearità malvagia. Ciò che immediatamente non si acquista, alla fine della proiezione, è proprio il senso di una cattiveria profonda che serpeggia all’interno del racconto. Una cattiveria nascosta, repressa ma pronta a venire fuori celando la mano del colpevole. Una cattiveria che rende il film affascinante in un primo momento e persistente anche parecchio tempo dopo il riaccendersi delle luci in sala.
Haneke non è regista semplice. Le sue visioni, così come il suo personalissimo modo di raccontare la realtà, non si servono del dato empirico. Le immagini del suo cinema, più che rappresentare, fungono da eco di ciò che spesso accade nel fuori campo, nel non visto. La tensione, spesso insostenibile, cresce grazie al non immediatamente percepito, all’insieme di una costruzione che prevede, senza mostrarne traccia, un dettagliato e piramidale schema emotivo in cui il montaggio gioca un ruolo spesso decisivo.
Ciò che superficialmente può sembrare un normale quadro d’insieme, ad una analisi più accurata rivela dettagli che portano con sé i germi di qualcosa di marcio e corrotto, tendente verso assoluti vertici negativi. Scopriamo così, in Das Weisse Band, elementi cui spetta il compito di prefigurare ciò che di oscuro sta per accadere. Sono il ritardo mentale, la grettezza e l’ipocrisia religiosa, la carezza di un padre priva di affetto e colma di desiderio, l’apparente ingenuità infantile che nasconde un odio feroce pronto a sbocciare, l’assenza totale di nomi propri ad esclusione dei più piccoli.
In qualche modo Haneke sembra dare vita ad una comunità in cui tutti sono vittime ed al contempo colpevoli. Ognuno è pronto a subire contro il più forte e a rivalersi sul più debole. Ma tutto accade, come detto, senza quasi si abbia il modo di accorgersene, con la naturalezza propria della quotidianità.
Difficilmente quest’anno abbiamo visto a Cannes un’opera in grado di chiarire le potenzialità del mezzo cinematografico come Das Weisse Band, un film tanto potente da richiedere del tempo per essere del tutto metabolizzato. La speranza è che il presidente di giuria, la fredda Isabelle Huppert, si ricordi dell’esperienza fatta nel 2001 con il grande regista austriaco nato a Monaco (t.o. Le Pianiste) che gli fruttò, proprio sulla croisette, il premio come migliore attrice.


(ndr. La recensione è stata scritta durante il recente Festival di Cannes, prima che la giuria premiasse il film con la meritata Palma d’Oro)


CAST & CREDITS

(Das Weisse Band ) Regia, soggetto e sceneggiatura: Michael Haneke; fotografia: Christian Berger; montaggio: Monika Willi; suono: Guillaume Sciama, Jean-Pierre Laforce; scenografia: Christoph Kanter; interpreti: Christian Friedel (l’Istitutrice), Leonie Benesch (Eva), Ulrich Tukur (il Barone), Ursina Lardi (la Baronessa), Burghart Klaussner (il Pastore); produzione: X Filme Creative Pool Gmbh, Wega Film, Les Films Dulosange, Lucky Red; distribuzione: Les Films du Losange; origine: Germania, Austria, Francia, Italia; durata: ‘145;


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