Il papà di Giovanna

Bologna, anni ’30. Ovvero la provincia e la prima metà del novecento. Pupi Avati torna al cinema riprendendo ambientazione e tematiche a lui molto care. La provincia da sempre centrale nel cinema di Avati torna ad essere, in questo dramma familiare, la sua Bologna collocata in quella parte del novecento da lui già rivissuta ne Il cuore altrove e La seconda notte di Nozze. Un dramma nuovamente incentrato su di un profondo, e in quanto tale complesso, rapporto padre/figlia. Ed è proprio la modernità di questo confronto, troppo dissonante con l’ambientazione storica, uno degli appunti che possono esser mossi a questo Il papà di Giovanna. In particolare la figura di Michele (Silvio Orlando), padre di eccezionale modernità, capace di consumare se stesso (anche fisicamente sullo splendido volto scavato di Orlando) pur di accompagnare la figlia nei momenti più difficili della sua vita, sembra trasmettere un sensazione di stridore con la ricostruzione storica che lo circonda. Se non fosse per alcune battute a vuoto, rappresentate da sporadiche sequenze gratuite e non all’altezza, e per le interpretazioni fiacche di alcuni attori in scena accanto ai protagonisti, sarebbe probabilmente solo questo senso di discordanza ad indebolire un film a suo modo estremamente logico e ferreo. Un film che proprio in questo ha la sua croce e delizia. Ciò che infatti da un lato può risultare come pregio, l’estrema pulizia della messa in scena, la linearità del racconto e delle psicologie, dall’altro rappresenta anche il suo più grande limite.
Ciò che infatti lascia l’amaro in bocca è quel continuo senso del già visto che pervade il nostro cinema. Sembra mancare quella necessaria urgenza del raccontare, sembra non esserci la necessità di dire qualcosa e, forse, neanche qualcuno a cui rivolgersi. Senza questa spinta (e senza un target preciso) si brancola nel buio, si inseguono vecchi linguaggi, si perpetuano scelte già fatte, si battono percorsi ormai consumati per il troppo cammino. E’ questo a lasciare perplessi. Mentre altrove nel mondo i prepotenti fenomeni di alienazione, di conflitto, di disgregazione della nostra società contemporanea trovano nel cinema un’importante via di comunicazione e confronto, moltiplicando i linguaggi e le soluzioni narrative, da noi si inseguono i fantasmi del passato. Spesso nel migliore dei casi, come in questo Il papà di Giovanna, si ritorna sulle sicure rotte consuete, appoggiandosi magari alla bravura di interpreti come Silvio Orlando e Alba Rohrwacher. Rotte sicure appunto, che garantiscono un risultato dignitoso, ma che ci ammantano di una velata tristezza. La tristezza di chi sembra doversi arrendere a questa consuetudine. La tristezza di rivedere sullo schermo scelte poco coraggiose. La tristezza di trovarsi davanti ad una realtà, e dunque ad un cinema, dal grande passato ma incapace di guardare al futuro.
Giampiero Francesca
(Il papà di Giovanna) Regia e sceneggiatura: Pupi Avati; fotografia: Pasquale Rachini; montaggio: Amedero Salfa; interpreti: Silvio Orlando (Michele Casali), Alba Rohrwacher (Giovanna Casali), Francesca Neri (Delia Casali), Ezio Greggio (Sergio Ghia); produzione: Duea Film; distribuzione: Medusa; origine: Italia 2008; durata: 104’;
