Il Petroliere

1898 – 1911. Tredici anni che trasformano Daniel Plainview, un disperato cercatore d’argento, in uno spietato, avido petroliere. Un’avidità sporca e maleodorante che trasuda immagini ed atmosfere alla Erich von Stroheim e che ad ogni “demoniaco” sguardo del formidabile Daniel Day-Lewis urla in faccia allo spettatore la sua insostenibile presenza. Tredici anni narrati nei tredici bellissimi minuti iniziali, in cui nel film non viene proferita una sola parola, lasciando alla potenza delle immagini e alla maestosità della colonna sonora, il racconto di una discesa agli inferi e di una nerissima, veloce scalata al potere. L’omaggio di un cinefilo/regista raffinato al cinema di un’altra era (da Il tesoro della sierra madre di John Huston a Il gigante di George Stevens), sapientemente utilizzato per raccontarci la genesi del mondo contemporaneo. La casa dalla quale hanno avuto inizio tutte le problematiche del nostro tempo. Di netto vengono spazzati via famiglia e affetti. Il benessere terreno annienta qualsiasi velleità di una possibile ma altrettanto improbabile gloria divina. Un uomo diventato schiavo della smania di potere, il quale preferisce vivere in una tenda o in una dimessa baracca, pur di star vicino alle proprie ricchezze ed incrementarle a vista d’occhio. Una sorta di Paperon De Paperoni che al posto di tuffarsi in mezzo a dobloni dorati, sguazza e striscia tra fango e petrolio. Plainview è determinato a raggiungere il suo obiettivo e niente e nessuno potrà ostacolarlo. Non ci riuscirà un cinico e disonesto predicatore (il bravissimo Paul Dano di Little Miss Sunshine) che tenta a tutti costi di sfruttare l’ignoranza dei suoi fedeli per metterli contro l’implacabile petroliere. Non ci riuscirà suo figlio, disgustato dall’avidità paterna che, in una delle scene più belle della recente storia cinematografica, lo porterà a rimanere sordo. Non ci riuscirà nemmeno Dio, visto come sadico e falso impedimento al suo successo. «Io sono un falso profeta e Dio è superstizione!» dirà il reverendo Eli Sunday, “costretto” da Daniel, nel delirante finale del film. Dio è superstizione agli occhi di Plainview, è l’ignoranza che i furbi utilizzano per eliminare propositi di potere e ricchezza dalle teste del popolo. È l’arma attraverso la quale preti e predicatori riescono a tenere per sé i beni materiali. Eli Sunday invece non è che uno sporco mercenario per il petroliere. Un imbonitore che predica il falso per celare il suo vero volto. In un certo qualsenso è il Frank T.J. Mackey di Magnolia che nascondeva le sue fragilità di figlio abbandonato, dietro il duro e misogino grido di battaglia: «rispetta il cazzo e doma la fica!».
Il personaggio di Daniel Day-Lewis non si lascia abbindolare e non si fida di nessuno, nemmeno dei suoi parenti. Lui, il cui viso rappresenta l’incarnazione reale dei suoi sentimenti, sarà colui che toglierà maschere e rovescerà troni, riuscendo così a raggiungere l’agognato successo. Un successo che però, non potrà condividere con nessuno.
In un film in cui l’unico personaggio femminile è rappresentato da una bambina di dodici anni, che nonostante la sua breve presenza in scena svolgerà un ruolo fondamentale per la crescita di Plainview figlio, il solo finale possibile sarà nel sangue (There Will Be Blood recita il titolo originale del film). Un film duro e spettacolare che consegna il trentasettenne P.T. Anderson nell’olimpo dei più grandi cineasti di tutti i tempi.
È fondamentale notare come Anderson, padre di spettacolari film corali quali Sidney (o Hard Eight che dir si voglia), Boogie Nights e Magnolia, cambi completamente prospettiva nel modo di narrare l’epopea di Daniel. Infatti, anziché riproporre come vera protagonista la macchina da presa, precedentemente capace di riscrivere in una modernissima Camera Stilo astrucchiana lo spirito libertino degli anni ’70 o “l’invisibile” influenza che le vite di ognuno di noi hanno su quelle degli altri, questa volta ci presenta una pellicola dove ogni inquadratura sente la necessità di mostrarci la figura del suo protagonista. Ne ha bisogno perché conscia che senza di lui l’intero film non avrebbe senso. Il ritratto del suo universo saturo di desideri e stati d’animo verrebbe a mancare del colore con il quale il pennello si trova a tratteggiarlo.
Già nel 2003 Paul Thomas Anderson aveva sperimentato con Ubriaco d’amore la narrazione attraverso gli occhi di un solo protagonista. Ed anche in quel caso (premiato a Cannes per la regia) lo stralunato individuo interpretato da Adam Sandler trasformava in immagini i propri stati d’animo. In un universo dalle tinte elettriche, l’amore si manifestava sotto forma di strumento musicale che arrivava ad aggiungere una violacea nota di colore nella grigia vita dei due protagonisti. Ma è sicuramente con There Will Be Blood che essa giunge alla sua completa maturazione, lasciando alla sabbiosa fotografia e all’imponente commento musicale il compito di evocare “allucinazioni” reali nella mente degli spettatori.
La musica è un elemento fondamentale in tutta l’ancor breve filmografia di Anderson. Audace regista di videoclip memorabili (ad esempio Accross The Universe di Fiona Apple) nel suo cinema non esiste una sola inquadratura priva di commento musicale. Anzi le sue pellicole nascono proprio come un componimento musicale, utilizzando un sistema quasi leoniano. Ne Il petroliere le musiche ed il sonoro sono, infatti, le coprotagoniste della vita di Plainview, le quali attraverso rumori metallici piuttosto che rombi geyseriani irrompono di prepotenza nelle inquadrature, sostituedo la parola e dicendo più di quanto essa avrebbe mai potuto dire. Ripercorrendo quanto aveva già fatto Jon Brion in Ubriaco d’amore, Jonny Greenwood, chitarrista dei Radiohead alla sua seconda esperienza come compositore (la prima nel film Bodysong di Simon Pummel), utilizza sonorità particolari che svariano dai classici violini a commenti di stampo più progressive, lasciando intuire come, dietro al suo lavoro, si celi il prezioso contributo dello stesso Anderson. Quest’ultimo dimostra di essere un regista completo, capace di curare ogni minimo aspetto dell’opera filmica. A cominciare dalle sue indubbie doti di sceneggiatore (attualmente forse il miglior regista/sceneggiatore) che gli hanno permesso di mettere in piedi questo fantastico affresco d’America inizio Novecento, partendo dalle prime 150 pagine del libro Oil di Upton Sinclair. Per non parlare poi della sua geniale capacità di messa in scena, attraverso inquadrature mai banali e con un sapiente ed entusiasmante uso di straordinari piani sequenza. Motivazioni che rendono il regista di Studio City uno dei più importanti cineasti partoriti dagli anni Novanta ed il suo petroliere un film che non tarderà a diventare una delle pietre miliari della settima arte.
(There Will Be Blood); Regia: Paul Thoma Anderson; sceneggiatura: Paul Thomas Anderson, liberamente tratta dal romanzo "Oil" di Upton Sinclair; fotografia: Robert Elswit; montaggio: Dylan Tichenor; musica: Jonny Greenwood; interpreti: Daniel Day-Lewis (Daniel Plainview), Paul Dano (Paul Sunday/Eli Sunday), Dillon Freasier (H.W. Plainview), Ciaràn Hinds (Fletcher Hamilton); produzione: Miramax Films, Paramount Vantage, Ghoulardi Film Company; distribuzione: Buena Vista International; origine: USA, 2007; durata: 158’.
