IL REGISTA DI MATRIMONI

Elica è solo, come lo era il pittore Picciafuoco, mentre cammina tra le stanze della sua dorata prigionia. Lo sguardo si smarrisce nell’universo claustrofobico che lo renderà muto e vagabondo. Lasciare questa solitudine borghese significa partire verso l’angosciante esplorazione delle profondità dell’anima. Inizia il viaggio e subentra il sogno a renderlo possibile ed efficace: la sospensione tra vero e immaginario, tra conscio ed inconscio, garantisce un equilibrio itinerante in cui lo scontro con le strutture, divenute da tempo insopportabili, si fa fruttifero e catartico. Ritrovarsi sulla spiaggia di una Sicilia in cui il barocco immobile si pizzica con la pioggia scozzese e si sublima in un magico fecondo, assume i contorni di un tragicomico inizio. Là, in questa fetta atemporale e paradigmatica di universo simbolico, il regista Elica si scrolla dalle spalle l’ossessione opprimente de I promessi sposi a cui sta lavorando senza desiderio, e riannusa l’odore della fantasia creativa che gli è propria. Che la ribellione inizi! Che i dogmatismi atavici vengano derisi e smascherati! Che la rabbia salga verso la ragione! Che si frapponga tra se e la mediocrità, l’istituzione, la famiglia, le regole, l’ordine costituito. Partano le dolorose domande, le confessioni intime e silenziose. Si liberi lo sberleffo, l’osservazione distaccata ed emotivamente partecipata. Si legittimi il desiderio dell’artista in crisi di tornare a respirare purezza e verità. Ora, con questa barba incolta, la giacca disordinatemente sulla spalla e neri occhiali da sole coi quali garantirsi la possibilità di non nascondersi nulla, l’uomo perso inizia a ritrovarsi in (e attraverso) un sogno. Elica se ne accorge su una spiaggia dove un mare mosso e grigio fa da sfondo alla realizzazione di uno stereotipato filmino da matrimonio. L’uomo che gioca con la leggerezza tecnologica (che tutto promette ma che da sola nulla può), si accorge dell’artista e lo interroga sulle possibilità espressive di tale materia. Lui muta la sua assenza in un ritorno all’immaginazione e in questo angolo di follia consolidata si azzarda a sentire il moto dell’arte e della vita che gli scorrono dentro. Sostiene una tesi artistica stravolgente e anticonformista. Canta la bellezza naturale della donna e la passione di lei per l’amore; si sofferma sul pudore maschile e concepisce per l’universo familiare degli sposi una totale destabilizzazione. Con questa casuale performance l’uomo Elica si introduce in un microcosmo di assurdità e paleo-sviluppo umano. Lo osserva in silenziosa e decisa punta di piedi. Con umorismo insolito matura una decisione comportamentale che tende ad appropriarsi di quello per cui sente passione. Lo scontro con la stessa mentalità da cui era fuggito matura attraverso gesti che le pistolettate a salve di una ragnatela minacciosa ed evanescente non possono in alcun modo ostacolare. In una sospensione onirica, che è l’anima di un film nel quale i riferimenti concreti alla vita sociale convivono e si fondono con quelli più inverosimili della vita fantastica che impregna tutto il racconto, il Castellitto-Elica-Picciafuoco impedisce un matrimonio che per lui non s’ha da fare. Rapisce, come un eroe senza tempo, l’oggetto meraviglioso interpretato da Donatella Finocchiaro. Durante l’incosciente e irrisolta preparazione di un piano strategico, ascolta un mondo dove si dice che comandino i morti, dove la realizzazione passa per la pubblica autocelebrazione, dove trionfa il luogo comune e l’incapacità di ascoltare ciò che scorre dentro l’altro, il diverso, l’artista. Quella di Elica è una solitaria resistenza fatta d’azione, un enigmatico conflitto con il mondo rappresentato dal potere delle istituzioni. Bellocchio ri-regala al suo straordinario alter-ego la solitudine dell’eretico chiamato a proteggere l’integrità e la coerenza del proprio autentico sentire. Elica consegnerà questa conquista alla donna con cui fugge, come in L’ora di religione faceva col figlio. Ma tra un figlio e un’amante c’è differenza: il primo porterà la lezione lontano e se l’ha capita la distruggerà. Ma Il regista di matrimoni diventa lo stesso un film intimo e politico. Un’opera con poco e tanto presente; un’opera, impregnata di cinema ovunque, che suscita un emozione decifrabile a più livelli ma sempre di notevole forza. Una Cannes "marginale" (Un Certain Regard) per il regista di Piacenza che continua a dissacrare riti familiari, sociali e religiosi con quelli di una narrazione leggera e surreale, questa volta condita con un umorismo insolito e delizioso. Sarà perché la crisi dell’individuo si risolve in una fuga amorosa che trascina con sé anche parte del presente a cui Moretti non rinuncia mai?
Regia: Marco Bellocchio; soggetto e sceneggiatura: Marco Bellocchio; fotografia: Pasquale Mari; montaggio: Francesca Calvelli; musica: Riccardo Giagni; scenografia: Marco Dentici; costumi: Sergio Ballo; interpreti: Sergio Castellitto (Franco Elica), Donatella Finocchiaro (Bona Gravina), Sami Frey (Il Pricipe di Gravina), Gianni Cavina (Smamma); produzione: Marco Bellocchio e Sergio Pelone per Film Albatros, Rai Cinema, Dania Film, Immagine & Cinema, con il sostegno del Mibac; distribuzione: 01 Distribution; origine: Francia/Italia 2005; durata: 107’
