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Il respiro del diavolo

Pubblicato il 23 gennaio 2009 da Salvatore Salviano Miceli


Il respiro del diavolo

Pensate a Shining, Il Villaggio dei Dannati, The Omen e perché no anche L’avvocato del diavolo, cercate di fare una improbabile centrifuga ed eccoci arrivare a Whisper (t.i. Il respiro del diavolo), film atteso da più di un anno nelle sale italiane ed in arrivo a fine gennaio con protagonista uno dei volti più noti della serialità americana degli ultimi anni: Josh Holloway meglio conosciuto come il bello e maledetto Sawyer di Lost.
Max, appena uscito di prigione, pur cercando di rigare dritto e di realizzare il sogno di aprire un ristorante cede ben presto, insieme alla sua ragazza Roxanne, alla proposta di un misterioso committente che gli offre parecchio denaro in cambio di un sequestro lampo. L’oggetto del rapimento è un bambino di dodici anni, figlio di una delle più ricche famiglie dello stato. Inutile dire che l’azione si mostrerà molto più difficile e, negli esiti, nefasta del previsto.
Non aggiungiamo altro per non rovinare le possibili sorprese. Possibili perché in realtà c’è ben poco di sorprendente nel film. I luoghi comuni del genere, horror nelle intenzioni ma thriller psicologico nei fatti, ci sono tutti, nessuno escluso. Il problema è che Stewart Hendler, al suo primo lungometraggio ed in procinto di realizzare il remake di The House of Sorority Row (Mark Rosman, 1983), non fa molto per cercare di declinare questi clichè in modo originale. Il risultato è un film che svela già la sua natura dopo pochi minuti di proiezione, che non ha bisogno di anticipare alcunché perché è eccessivamente semplice prevedere ogni possibile sviluppo e che termina con alcune trovate (tra cui un’accetta fin troppo precisa) al limite del kitsch. Alla fine festeggia solo un finto babbo natale che si vede recapitare una improvvisa, ma sempre gradita, fortuna.
Josh Holloway potrebbe anche essere convincente (il suo personaggio è attraversato da una continua dialettica tra giusto e sbagliato proprio come il Sawyer dell’isola) ma deve fare i conti con una sceneggiatura che non lo aiuta e gli regala battute non proprio indimenticabili.
L’horror è forse uno dei generi più complessi in cui cimentarsi, soprattutto oggi. Non è facile trasmettere paura, rendere credibili situazioni che possono essere tutto fuorché credibili, confrontarsi con pellicole passate (a parte il Rec di Balaguerò, difficile trovare in tempi recentissimi degli esempi calzanti) che hanno saputo creare dei termini di paragone assai ostici da superare.
Il film non è girato male, il montaggio è veloce, certe inquadrature sono anche interessanti, ma troppo banali sono l’assunto di base ed il suo svolgimento per riuscire a farsi coinvolgere da Whisper. Magari qualche effetto sonoro improvviso provocherà anche uno scossone sulla sedia, ma c’è una profonda differenza tra una reazione data semplicemente dall’inatteso e un’altra, e di questa non c’è traccia, figlia di una sana a pura tensione.


CAST & CREDITS

(Whisper); Regia: Stewart Hendler; sceneggiatura: Christopher Borrelli; fotografia: Dean Cundey; montaggio: Armen Minasian; interpreti: Josh Holloway (Max), Sarah Wayne Callies (Roxanne), Blake Woodruff (David Sandborn), Joel Edgerton (Vince Delayo); produzione: Gold Circle Films, H2F Entertainment, Deacon Entertainment; distribuzione: Eagle Pictures; origine: USA 2007; durata: ‘95;


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