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Il resto della notte

Pubblicato il 17 giugno 2008 da Edoardo Zaccagnini


Il resto della notte

Francesco Munzi si affaccia dal balcone di Cannes e affianca il suo corpo a quello dei colleghi (maggiori) Matteo Garrone e Paolo Sorrentino. Poco importa che egli giri il collo verso il Nord del paese, al contrario di quello rivolto a Sud di Garrone e di quello, impegnato nelle stanze più oscure della nazione, del regista de Il Divo. E poco importa che il suo film non sia in concorso ma figuri nella sezione Un certain regard. Col tempo, Munzi, si mostrerà alla pari dei suoi colleghi. Oggi arriva al suo secondo film con molta attenzione al tema, con la conferma di saperci fare col cinema e con qualche concessione alle esigenze del pubblico. Gli occhi dei tre ragazzi italiani guardano fissi verso il mondo, verso le realtà controverse e infette del paese. Da Cannes, decisi, osservano le terre e i problemi della loro, nostra Italia. Munzi tiene fede al suo cinema che osserva dall’interno la condizione della peggio immigrazione. Entra nelle loro case e nella loro lingua, nel loro disordine, nelle loro abitudini e nella loro disperazione. Al contrario di quanto aveva fatto con Saimir, però, dove una volta entrato non usciva più dal contesto feroce e documentario dell’immigrazione clandestina, e raccontava da una prospettiva originalissima una vicenda che nessun italiano, al cinema, ci aveva ancora descritto in quel modo, stavolta, Munzi, apre alla fiction impegnata, degna, ben girata ma a tratti debordante e confusa. Il film si sporca, cinematograficamente parlando, di temi ad effetto e come dire, esageratamente attuali. Si appesantisce di parentesi tenute aperte troppo a lungo, e all’improvviso, di storie certamente vere, e possibili e importanti, ma che fanno perdere compattezza e precisione al film. Il rapporto del rapinatore italiano col figlio, ad esempio, o la storia d’amore dell’attempato signore borghese con la giovane impiegata, sembrano inserti certamente probabili, ma non fondamentali nell’economia di un film che fa delle tante parti asciutte, dirette e freddamente violente la sua forza maggiore. Il risultato è quello di un buon lavoro, pieno di presente e di capacità registica, ma che, se fosse stato più insistente nell’operazione di sottrazione e nel rimanere addosso ai protagonisti, senza lasciarli scappare in abbracci ed abbandoni, sarebbe potuto arrivare con più forza, velocità e precisione alla pancia dello spettatore. Munzi impiega energia e pellicola nel ribadire che i cattivi che spaventano il paese possono venire da lontano, da dietro l’angolo o da dentro casa. Ripete che la nostra meglio società non ha nella violenza derivante dall’immigrazione clandestina il suo unico problema. Prova a far incontrare, nel tentativo di raccontare le contraddizioni del nord Italia, la ricca e triste borghesia italiana con l’altrettanto triste ma povero proletariato urbano, soprattutto non italiano. I due mondi lontani vivono separatamente finché la tragedia non li mette in contatto. Il primo non ha bisogno dell’altro, il secondo, purtroppo, si. In questo mondo così squilibrato, separato, che non può e non vuole comunicare, sembra dirci il regista, tutti hanno di che soffrire e di che aver paura. Ma questo è, appunto, certamente vero ma già molto raccontato e chiaro. Il film non è per nulla filo romeno, ed in questo il regista è fortemente coraggioso. Il resto della notte avrebbe potuto essere accolto come un film di destra ma la sua intelligenza, la sua articolazione, la sua problematicità e la sua disperazione, hanno evitato ai lettori di questa pellicola, appartenente al cinema italiano di prima fascia, una lettura superficiale. Si può tentare un parallelo tra i due adolescenti dei film di Munzi: Saimir ieri e il giovane fratello di Jonut oggi. Entrambi perdono la loro innocenza e la loro purezza nella barbarie in cui vivono. Sono silenziosi e a loro modo innocenti. Nel personaggio del giovane si può trovare la chiave del film. E’ il contesto che storce l’animo umano, che lo piega al crimine, alla violenza. Nella scena finale, di assoluto valore espressivo, il ragazzo stringe con forza la borsa del denaro. I soldi sono l’unica cosa in cui credere, l’unico strumento con cui poter camminare. Gli affetti non possono esistere, i valori nemmeno, in questo tipo di organizzazione sociale. La scena della rapina, anche questa di grande resa cinematografica, ricorda quella dello stupro della ragazza nel filmSaimir. In entrambe le circostanze il regista delega al fuoricampo il compito di provocare emozioni e suggestioni. Il sonoro potente si accompagna al silenzio e all’attesa di chi è complice o vittima. Quella di Munzi è una piccola, neanche troppo, doppia lezione di cinema. Sono racchiuse in certi frammenti le sue qualità, nella capacità che ha di fare cinema in pochi metri, in pochi gesti. Per ciò siamo strasicuri che il regista romano saprà limare imperfezioni ed incertezze in breve tempo. D’altronde, il suo film, riesce ad essere penetrante lo stesso, anche se attaccato, qua e là da fastidiose sbavature. Avrà tutto il tempo per asciguare senza inaridire, per raccontarci ancora tanto presente e ragalarci anni di buon cinema italiano.


CAST & CREDITS

(Il resto della notte); Regia: Francesco Munzi; sceneggiatura: Francesco Munzi; fotografia: Vladan Radovic; montaggio: Massimo Fiocchi; interpreti: Sandra Ceccarelli, Aurelien Recoing, Stefano Cassetti, Valentina Cervi, Laura Vasiliu; produzione: Donatella Botti per Bianca Film; distribuzione: 01 distribution; origine: Italia, 2008; durata: 100’


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