Il segreto dei suoi occhi

Un viaggio tra la memoria e lo sguardo che su di essa si posa: di questo tratta principalmente il bellissimo film argentino che, alquanto inaspettatamente, lo scorso marzo ha vinto l’Oscar come migliore pellicola in lingua non inglese; si è trattato di una sorpresa principalmente perché ciò è accaduto ai danni di un gigante come Michael Haneke, forte dello splendido e glaciale Il nastro bianco cui precedentemente erano stati tributati gli onori sia della Palma d’oro che del Golden Globe.
Al di là di tali questioni, dei premi in generale e dei gusti precipui dell’Academy (comunque spesso refrattari ai cambiamenti che sarebbe lecito attendersi assieme all’avvicendarsi delle generazioni), non si può dire che Il segreto dei suoi occhi non abbia meritato la gloria del palcoscenico hollywoodiano, sottolineando qui come un riconoscimento di tale importanza abbia di certo donato una cassa di risonanza a un’opera che, altrimenti, con maggiori difficoltà avrebbe potuto contare su un’attesa un minimo ampia, perlomeno alle nostre latitudini. E ciò sarebbe stato veramente un peccato, poiché questo film sa destare una meraviglia mai innocua, grazie alla sua invidiabile capacità di mostrare attenzione verso le piccole cose, ponendo l’accento sui moti dell’animo di personaggi comunque soli cui fa da sfondo la tragicità della Storia, in un mondo dove la speranza lotta, affranta, contro la mediocrità e il male sempre diffusi.
Il racconto procede continuamente per salti, compiendo balzi tra due estremi attraverso costanti flashback, avanti e indietro nel tempo: dal 1974 (anno di poco anteriore all’instaurarsi della dittatura dei generali, ma di certo di suo non simbolo di pace e di giustizia sociali) fin quasi ai nostri giorni, un quarto di secolo dopo. Tempi lontani che si compenetrano, leggendosi gli uni attraverso gli occhi degli altri, partendo dai ricordi posati sulle pagine del romanzo cui Benjamín Espósito (Ricardo Darín) sta tentando di dare vita, inutilmente. Un libro che prende spunto da un caso su cui l’uomo, funzionario nel tribunale di Buenos Aires ormai in pensione, aveva indagato nel ’74: lo stupro e l’omicidio di Liliana Coloto, giovanissima moglie di Ricardo Morales. Nel suo lavoro Espósito era stato aiutato dal collega e amico Sandoval, stimolato nell’affrontare le difficoltà grazie alla consapevolezza di avere scorto negli occhi di Morales il più puro dei sentimenti, un amore forse simile a quello che lui in prima persona provava per Irene, una donna dalle origini altolocate che lavorava come segretaria nel palazzo di giustizia. Anni trascorsi forse invano, perché quell’efferato delitto rimane una ferita che nel 1999 ancora sanguina, al pari di altre; ma ora perlomeno lo sguardo del presente potrà essere utile per gettare luce su quel passato sepolto.
Così come le distanze temporali vengono avvicinate e unite ponendole sullo stesso piano (senza alcun artificio fotografico, se non all’inizio, e senza alcuna enunciazione che ponga distinzioni immediatamente individuabili, al di là dei segni dell’invecchiamento sui volti), allo stesso modo Il segreto dei suoi occhi si comporta con diversi generi cinematografici, mescolando il racconto sentimentale con l’esplorazione dei mondi sommersi (in particolare quelli nascosti nelle interiorità) tipica del noir, il film di ispirazione politica con brani caratterizzati da esilaranti scambi di battute. Quest’ultimo registro, in particolare, attraverso puntute incursioni raggiunge l’apice nella parte centrale del film; soprattutto se ne comprenderà appieno la necessità solo in seguito, quando sopraggiungerà una lacerante desolazione che risulterà acuita proprio grazie a quel gioco dei contrasti che pervade l’intera opera, intessuti con maestria e di cui quello appena riportato è l’esempio forse più lampante.
Malgrado ciò, nonostante una certa politica della frammentarietà, il regista Juan José Campanella (autore anche del montaggio e coautore dello script) riesce ad assicurare la continuità narrativa senza problemi, dipanando i fili che irrorano la pellicola e chiudendo gli intrecci che con grazia ha lasciato gorgogliare lungo di essa. E all’interno di tale ordito si possono gustare svariate sottigliezze, immerse in un ritmo minimalista in cui l’attenzione verso i particolari più nascosti fa in modo che non si senta alcuna costrizione nel modo attraverso cui la vicenda viene conclusa. Soprattutto perché, poi, viene messo in scena un percorso che diviene una ricerca, dove il mistero esteriore fa da pendant con quello interiore e dove alle domande non sempre seguono risposte certe e non fallaci.
Perché comunque si sente l’alito della disillusione aleggiare sulle sorti dei personaggi, così come appare come un atto di ribellione contro la vulgata comune il particolare che due personaggi, legati a idee vicine al nascente regime dittatoriale, siano entrambi tifosi accaniti e profondi conoscitori delle gesta del Racing Club, una delle più importanti squadre di calcio del Paese. E in questa ossessione – oltre al fatto che non si possa comandare la più forte delle proprie passioni, come viene esplicitamente proferito da Sandoval - è possibile scorgere il richiamo al lato negativo di uno degli sport più seguiti al mondo, ai suoi legami con la politica e col potere economico, al sempiterno ’Panem et circenses’ e a quelli che sarebbero stati i Mondiali del 1978, vinti proprio dall’Argentina in casa propria, simbolo del potere dei generali e della loro volontà di farsi belli agli occhi del mondo, per una follia collettiva boicottata solamente da Johan Cruijff, l’unico che si oppose alla gioia bugiarda della palla rotonda che rotolava accanto alla ferocia delle persecuzioni e degli omicidi contro i dissidenti (link esterno).
Perché il contrasto più forte de Il segreto dei suoi occhi giace nella barriera che separa l’individuo dalla collettività e da un potere che, pur incarnatosi in facce con la banalità di volti come tanti altri, assume i contorni quasi dell’astrazione e di una distanza contro cui non si può realmente lottare. E così si può parlare di un’inquadratura che ha del mirabolante, un lunghissimo piano sequenza che unisce massa e individui, ambientato proprio nello stadio in cui si sta giocando una partita del Racing, un catino che diviene quasi l’unica luce nella notte, un monumento su cui la mdp da presa plana andando a individuare un volto nella folla, poi un altro e altri ancora, finendo sulla spalla di un operatore che finirà per tallonare un (classico) inseguimento nelle viscere di quel tempio moderno. Simbolo, questo inventivo movimento, della continuità tra mondi lontani che permea l’intero film: anzi, per la precisione, la continuità accanto alla frammentarietà e ai salti del montaggio per flashback, ossia quello che accade nei sogni, o nei ricordi.
(El secreto de sus ojos); Regia e montaggio: Juan José Campanella; sceneggiatura: Eduardo Sacheri e Juan José Campanella dal romanzo omonimo di Sacheri; fotografia: Félix Monti; montaggio: Nome; musica: Federico Jusid; interpreti: Ricardo Darín (Benjamín Espósito), Soledad Villamil (Irene Menéndez Hastings), Guillermo Francella (Pablo Sandoval), Pablo Rago (Ricardo Morales), Javier Godino (Isidoro Gómez), Mariano Argento (Commissario Romano), José Luis Gioia (Ispettor Báez), Carla Quevedo (Liliana Coloto); produzione: Tornasol Films, Haddock Films, 100 Bares Producciones, El secreto de sus ojos A.I.E.; distribuzione: Lucky Red; origine: Argentina e Spagna, 2009; durata: 129’; web info: sito ufficiale.
