IL VENTO, DI SERA

Basta un poco di vento a farci volar via
Le parole di Marie Koltès nella dedica iniziale ben si addicono alla natura volatile, lieve del debutto nel lungometraggio di Andrea Adriatico. Sopralluogo di un momento eccezionale della vita attraverso la successione dei tanti eventi minimali che lo compongono, Il vento, di sera, proprio come un soffio di vento, scuote ma non permane, depositandosi nella memoria sotto forma di luci, gesti, suoni. In poche parole un film d’atmosfera. L’effetto è amplificato dall’unità di tempo - tutto in una notte - che avvicina la visione del film all’esperienza della vita in tempo reale, senza soluzioni di continuità fra “eventi” e tempi morti. Di evento, in effetti, non ce n’è che uno, all’inizio, di quelli con lettera maiuscola: la pistola di un ignoto terrorista fredda sul portone un sottosegretario e un testimone occasionale. Ogni riferimento a Marco Biagi non è puramente casuale, ma la macchina da presa decide inavvertitamente di seguire le orme di Paolo, compagno di vita dell’anonimo testimone. Di lui certamente non si occuperanno le cronache né, quel che è più grave, gli sarà concessa una parola pietosa da parte del chirurgo che ha appena allungato il lenzuolo sopra il corpo senza vita dell’amato. “Lei non è un familiare”, si sentirà dire all’ospedale. Ė una denuncia forte, ma il regista non si sofferma. Dopo la concitazione e la suspence della sequenza iniziale, dunque, chi non avesse mai neanche sentito parlare di Antonioni potrebbe dire che nel film non succede più nulla. Assistiamo al vagabondaggio notturno di un sopravvissuto per le vie di una città, Bologna, che prendiamo a vedere attraverso il suo sguardo, quello di chi vive un presente assoluto. La condizione di shock in cui si trova questo personaggio-guida, appena sprofondato in una solitudine assoluta, conferisce a qualsiasi situazione un sapore allucinatorio, quasi surreale: il barista che lo consola, la performance di un comico travestito in un centro sociale, il cellulare che continua a squillare, il ragazzetto che cerca di rimorchiarlo parlando del più e del meno. È l’assurdità della vita che continua. Il vento, di sera non è un viaggio nel dolore che segue un lutto, né la storia della sua più o meno ortodossa rielaborazione, come è stato il caso de La stanza del figlio di Moretti o di Sotto la sabbia di Ozon, che tentavano la via dello scavo psicoanalitico di chi sopravvive, ma l’occasione per uno spostamento del punto di vista, per uno scarto della visione. Paolo, cui Corso Salani presta la stessa introversa passionalità di tutti gli Alberto che ha interpretato nei suoi film da regista, è di fatto un naufrago, un uomo sospeso cui il destino ha tolto d’un lampo passato e futuro. La condizione di chi non ha più nulla da perdere non è forse invidiabile, ma è quella ideale per essere disponibile a vedere e a sentire davvero. Si può guardare il mondo da una prospettiva non mondana. Senza i percorsi precostituiti di chi ha qualcosa da fare, senza un tempo scandito dagli impegni quotidiani può capitare, ad esempio, di lasciarsi andare per un po’ al sesso con uno sconosciuto. E ogni cosa assume il sapore della prima volta: il suono dell’autoambulanza che passa, così assordante, pare di non averlo mai udito. Un televisore acceso dietro una vetrina, in cui la speaker presumibilmente annuncia l’attentato, appare, torna ad apparire, per quello che è: un evento misterioso. Non c’è ombra di giudizi nel film di Andrea Adriatico, né la tentazione dell’instant movie sul fatto di cronaca, solo un pietoso esercizio di attenzione, la registrazione dell’acuirsi esasperato delle sensazioni negli stati di straordinaria vulnerabilità. E non è poco. Non c’è ancora una vera e propria distribuzione per il film di questo neo-cineasta dalla lunga carriera teatrale, solo un’agenda di singole proiezioni nelle più grandi città italiane. C’è da augurarsi che la partecipazione al Forum della Berlinale non rimanga una prestigiosa vetrina.
[febbraio 2004]
Regia: Andrea Adriatico. Sceneggiatura: Stefano Casi, Andrea Adriatico. Fotografia: Gigi Martinucci. Montaggio: Roberto Passuti. Musica: Roberto Passuti. Interpreti: Corso Salani, Francesca Mazza, Fabio Valletta, Sergio Romano, Paolo Porto, Giovanni Lindo Ferretti, Ivano Marescotti. Produzione: Monica Nicoli per Teatri di vita. Origine: Italia, 2004. Distribuzione: Vitagraph. Web info: www.vitagraph.it; www.teatridivita.it. Durata: 92’
