In Questo Mondo Libero
In un mondo libero capita che il nuovo mercato del lavoro, quello della flessibilità e dei doppi turni, mascheri, dietro la promessa di nuove possibilità, semplicemente il tanfo di uno sfruttamento legalizzato.
In un mondo libero capita che le vittime si trasformino ben presto in carnefici (scusate la retorica) fiutando odore di rapidi ed improvvisi guadagni con buona pace delle origini sociali e di qualche ideale sparso qua e là.
In un mondo libero è anche il titolo italiano del nuovo film di Ken Loach, presentato in concorso qui alla Mostra. Dopo la Palma d’Oro per The Wind That Shakes The Barley, il regista britannico si rifugia nella contemporaneità per raccontare la sua nuova storia. Il suo occhio è sempre lo stesso, restio a tutto ciò che trascende la realtà. Ciò che Loach consegna alla sua macchina da presa è materiale leale, laddove lealtà è sinonimo di verità, precisa rappresentazione di una dinamica sociale tipica del modello britannico, ma adesso ‘fieramente’ rappresentata e portata avanti anche nel nostro paese.
Film duro, conciso ed estremamente concreto, girato con quella coscienza critica ed onesta nei confronti del nostro tempo che oggi solo Loach, insieme a pochi colleghi, mostra ancora di possedere e di elevare a soggetto delle proprie pellicole.
Kierston Wareing (interpretazione strepitosa la sua) è Angie, impiegata improvvisamente licenziata senza giusta causa. Stanca di dovere dipendere da qualcuno e delle ingiustizie subite, apre un’agenzia di lavoro interinale che presto la porterà verso una deriva sempre più profonda costringendola ad abbandonare, in nome di una rivalsa personale diventata ormai cieca ingordigia, qualsiasi appiglio etico.
Loach segue la mutazione della sua protagonista con distacco, ma senza freddezza. La sua intenzione è quella di non caricare troppo la storia con biechi moralismi, ma di illustrare una mutazione intima che pare inevitabile, fisiologicamente imposta dalle leggi del mercato. Da una parte ci sono quindi i padroni, o aspiranti tali, dall’altro una massa disperata di esuli e profughi, trattati come semplici pezzi di ricambio, che da tempo hanno riposto i propri diritti per scambiarli con qualche sterlina. È una separazione ben marcata che Loach tiene in primo piano per tutto il suo film, esplicitandola in quella rete metallica che divide, escludendolo, il quartiere ghetto dal resto della città.
Non è qualunquismo quello del regista di Nuneaton, ma un impegno vero, profuso in un cinema di valore; un cinema che non si arma di spettacolarità e che sostituisce a qualsiasi forma di trascendenza, sia essa narrativa che stilistica, il solo immanente. Non di ‘manifesto’ si tratta, però, ma solo dell’aspirazione ad un lavoro che restituisca una dignità personale e soprattutto economica (inutile girarci intorno) a chi fornisce un servizio di qualsiasi genere esso sia, manuale, intellettuale, critico; l’aspirazione ad un mondo davvero libero. Anche di questo la ringraziamo, Mr. Loach.
(It’s a Free World… ); Regia: Ken Loach; soggetto e sceneggiatura: Paul Laverty; fotografia: Nigel Willoughby; montaggio: Jonathan Morris; musica: George Fenton; interpreti: Kierston Wareing (Angie), Juliet Ellis (Rose), Leslaw Zurek (Karol), Davoud Rastgou (Mahmoud); produzione: Sixteen Film, BIM, EMC Produktion, Tornasol Films, SPI; distribuzione: BIM; origine: UK, Italia, Germania, Spagna, Polonia 2007; durata: 96’