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In viaggio con Cecilia - Festival dei Popoli

Pubblicato il 1 dicembre 2013 da Elisa Uffreduzzi


In viaggio con Cecilia - Festival dei Popoli

Nell’estate del 2012 Mariangela Barbanente e Cecilia Mangini decidono di fare un viaggio insieme, per vedere come e quanto sia cambiata la loro Puglia rispetto a quella di Brindisi ‘65 (1966), Tommaso (1966) e altri documentari della Mangini, i cui lacerti intervengono a più riprese nel film, e nei quali l’immobilismo del mondo contadino si scontrava con l’arrivo della civiltà industriale, che creava una classe operaia mentre ne distruggeva la sostanza umana.

Il viaggio inizia con la fine: parte infatti sul filo dei ricordi, quelli di Cecilia, che torna a visitare i luoghi dell’infanzia, a cominciare dal piccolo ponte che per lei bambina significava l’arrivo, il termine del viaggio. Da lì, con una sterzata non proprio morbida, la bussola punta verso la Taranto dell’Ilva, del preoccupante inquinamento, delle burrascose vicende giudiziarie e della difficile condizione degli operai che ne deriva. Poi è la volta di Brindisi, dove la crisi dell’impianto petrolchimico ha lasciato dietro di sé un vuoto occupazionale, tristemente specchio di lacune ancor più profonde: di quell’inerzia giovanile che sembra solo l’ultima espressione di un atteggiamento culturale di rassegnazione e passivo subire gli eventi, che la Mangini con spietata lucidità identifica come peculiare del Sud Italia. Ne emerge uno scenario desolante, in cui a spiccare è soprattutto la vitalità di un’esile “vecchiaccia”, come si definisce lei stessa divertita, che a ottantasei anni ha energia e idee “da vendere” a quei giovani svogliati e annoiati che inutilmente cerca di scuotere con le sue domande: «- Non mi sono informato…» «- E chi te lo ha impedito?».

La coerenza narrativa del film risente sensibilmente della brusca virata che interviene a pochi minuti dall’inizio, quando, quella che sembrava una ricostruzione agiografica della vita di Cecilia Mangini, si trasforma in un film di e con quest’ultima. E meno male. È Mariangela Barbanente a chiarire il motivo di un così brusco cambiamento, spiegando come l’idea iniziale fosse proprio quella della ricostruzione biografica, poi approdata ad altro sull’onda coinvolgente delle intenzioni della Mangini.

Probabilmente quest’incongruenza deriva dalla difficoltà di conciliare due sguardi, altrove ben calibrati: la Barbanente è un interlocutore tutt’altro che passivo e spesso nel film più che essere una mera spalla, funge da vero e proprio stimolo per la collega più matura; il pungolo che con acume ne mette in moto l’attenta curiosità.

Scongiurato il rischio dell’ennesimo ritratto d’autore – autoreferenziale quanto inutile – il documentario delle due registe pugliesi si tramuta presto in inchiesta, rivelando storie di vita, appassionati dibattiti e un paesaggio urbano che la macchina da presa indaga con cura entomologica in lunghe carrellate che esplorano muri e scorci cittadini. Analogamente, nei bellissimi camera car iniziali, scopriamo le pale eoliche, paradossali girasoli metallici che punteggiano le colline lungo l’autostrada, sottolineate dalle musiche in sottofondo, belle quanto onnipresenti.

In effetti proprio la colonna sonora, risultato di una combinazione delle partiture contemporanee di Teho Teardo e materiali d’archivio di Egisto Macchi, con la propria presenza insistente finisce per risultare invadente. La Mangini, a quasi quarant’anni da La briglia sul collo (1974), torna dietro alla macchina da presa convinta della forza comunicativa del documentario in quanto cinema del reale che – sostiene – è ben altro dal documentarismo il quale, appesantito dallo psicologismo, non approda a niente. Eppure proprio quel “basso continuo” della colonna sonora sembra contraddire queste intenzioni, inducendo l’emozione nello spettatore. Le più riuscite risultano infatti le sequenze in cui sono il rumore, quando non i dialoghi, a parlare.

Nel viaggio di Cecilia e Mariangela affiora, con disarmante semplicità e crudezza allo stesso tempo, il mancato dialogo tra due generazioni a confronto: quella dei padri, operai o ex-operai, e quella dei figli, disoccupati, senza prospettive, né iniziativa, solo cieca rassegnazione.

«Questa è un’epoca in cui non ci possiamo permettere di “ammazzare” i padri, perché i padri hanno ancora questa energia», chiosa Mariangela Barbanente alludendo alla collega. Un consiglio alle nuove generazioni e una constatazione insieme: non a caso lei, idealmente “figlia” della Mangini, ha intrapreso questo viaggio con la “madre” nella loro madre Terra.

Lo scenario è apocalittico, ma proprio quando ogni speranza sembra perduta la camera scruta attentamente un albero, il tronco, le foglie, mentre le parole di Gramsci in sovrimpressione ci restituiscono un po’ di fiducia: «Tutti i semi sono falliti eccettuato uno, che non so cosa sia, ma che probabilmente è un fiore e non un’erbaccia».


CAST & CREDITS

(In viaggio con Cecilia) Regia: Mariangela Barbanente, Cecilia Mangini; sceneggiatura: Mariangela Barbanente, Cecilia Mangin; fotografia: Roberto Cimatti; montaggio: Pietro Lassandro; produzione: GA&A Productions; origine: Italia; durata: 80’.


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