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Incontro con Boris Khlebnikov

Pubblicato il 25 giugno 2013 da Giammario Di Risio


Incontro con Boris Khlebnikov

Boris Khlebnikov è un omone grande e grosso ma, se lo scrutassimo di sottecchi, potremmo immediatamente essere catturati dalla dolcezza dello sguardo e dalle forme tondeggianti del viso che danno un senso di fanciullesco al suo porsi verso l’esterno. Il suo A long and happy life, titolo originale Dolgaya Schastlivaya Zhin, ha aperto qui a Pesaro la quarantanovesima edizione della Mostra del Nuovo Cinema, divenendo lieto oggetto di discussione durante la conferenza stampa.

Con toni pacati e con l’interazione del direttore artistico Giovanni Spagnoletti e di Pierpaolo Loffreda, il nostro, sigaretta alla mano, ci ha raccontato il suo punto di vista, che fagocita riprese con macchina a mano e apparente semplicità nella costruzione dello spazio, sulla condizione degli agricoltori nella Russia dei giorni nostri. Se la verdura nei negozi o nei supermercati non manca, in realtà Khlebnikov ci racconta di una società che ha lasciato per strada, o semplicemente bypassato per circoscritto interesse, le utopie, di Gorbaciov prima e Eltsin poi, atte ad accompagnare l’evoluzione della piccola e media impresa all’interno di un sistema concorrenziale. Sfruttando il cinema Khlebnikov ci scrosta, con colori autunnali e personaggi perennemente condizionati e ambigui, la patina informativa che arriva in Occidente dichiarando l’impossibilità della Russia nel creare una sana economia di mercato.

I suoi personaggi, come giustamente sottolineato da Spagnoletti, si prendono l’onere di essere continuamente spaesati e, tra il rumore dello scorrere di un fiume e gli occhi che strabuzzano per una nuova “ineluttabile” situazione, diventano estensione della reale forma mentis del popolo russo, tacciato quest’ultimo da Khlebnikov di atteggiamenti infantili. A differenza di ciò che accade in America, ha dichiarato il regista, in Russia la gente non ha una reale percezione di cosa siano la polizia e la giustizia, e considera quest’ ultime masse informi, prive di significato.

Che non sia questo film anche una metafora sulla condizione dei registi russi? Potrebbe sembrare quando Khlebnikov, ricordando il passato e la sua iniziativa di creare una società con i più bravi cineasti, dichiara l’attuale impossibilità del cinema russo a far riferimento ad un’idea fondante, qualcosa che coaguli tutto un movimento viceversa, come per i personaggi di A long and happy life, ogni individuo racconta la sua storia aprendo a scenari e conclusioni inaspettate.


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