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Incontro con Francis Ford Coppola

Pubblicato il 21 ottobre 2007 da Nicola Lazzerotti


Incontro con Francis Ford Coppola

Come era facile prevedere quella di oggi è stata un’occasione unica per comprendere, dalla viva voce dello stesso Coppola, il significato del suo lavoro e l’evoluzione di un pensiero registico che ha attraversato quarant’anni di cinema. La conversazione è stata movimentata ed orientata dalla visione di alcune delle più significative immagini del cinema coppoliano.
Ad anticipare l’incontro: il primo passaggio del documentario Thirty Years Later di Eleonor Coppola, in cui viene mostrato la lavorazione di Youth Without Youth.

Prima clip “La Conversazione” sequenza in cui Hackman suona il sassofono

In occasione dell’omaggio a lei dedicato al Lincoln Center di New York, paragonò l’industria Hollywoodiana all’industria farmaceutica, cosa intendeva asserire?

Quello che intendevo dire è che al momento non esiste una grande differenziazione nel panorama cinematografico, fare un unico tipo di film, quelli di grande richiamo, da botteghino. Come se l’industria farmaceutica dovesse decidere che le terapie da sviluppare sono tante ma producesse solo il Viagra.

Osservando come lei ha disposto la m.d.p. sembrerebbe(in riferimento alla clip su citata) non essere a conoscenza dei movimenti del protagonista. Cosa che accentua la sorpresa e mette in evidenza la profonda solitudine del protagonista. Come è arrivato a pensare a questo utilizzo del mezzo?

Ogni volta che faccio un film cerco sempre di far riferimento ad un tema che deve giustificare tutto, il tema portante, prima di decidere che movimenti far fare alla cinepresa.
Nel caso de La Conversazione ”il tema era quello della privacy. Qui i movimenti ricordano quelli delle telecamere di sorveglianza, quindi ho voluto riprodurre questo stile con la cinepresa statica, che è quella che preferisco, senza preoccuparmi se il personaggio usciva dall’inquadratura, proprio come accade nelle telecamere della sorveglianza.

Il suo ideale è avere tanto tempo per scrivere un film, addirittura la prima idea de “La Conversazione” è del 1966 la realizzò completamente quasi dieci anni dopo. Si può dire lo stesso di quest’ultimo film?

Il motivo per cui La Conversazione non è stato fatto nel momento in cui era pronta la sceneggiatura è semplicemente un motivo finanziario. Nel corso della mia carriera ho sempre avuto difficoltà ad ottenere finanziamenti necessari per realizzare film d’Autore oppure film più d’Avangurdia, mentre è facilissimo trovare finanziamenti per film d’azione, film di grande richiamo rivolti ad un grande pubblico. E’ solo dopo il successo de Il Padrino che ho trovato i finanziamenti necessari per La Conversazione.
Nel caso de Un’altra giovinezza non conoscevo questa storia fino a pochi anni fa, mi è interessata moltissimo, ha qualcosa di fiabesco, implicazioni filosofiche.

Seconda clip tratta da Il padrino parte seconda sequenza tra i fratelli Micael (Al Pacino) e Fredo (John Cazale)

Rivedendo una sua dichiarazione riguardo al film, dove paragonava il Padrino ad un re con tre figli: uno con il suo animo gentile; uno con la sua intelligenza; uno con la sua forza. Si è mai interrogato sul fatto che in questo film ha reso affascinante una famiglia di criminali?

Bèh! naturalmente il fatto stesso che fossero dei criminali li rendeva interessanti di per sè, rivediamo una famiglia italiana, un po’ come la mia, una famiglia di musicisti.

Terza clip tratta da Apocalypse Now la sequenza del ponte.

Lei si è inventato la formula del cinema che descrive la guerra spettacolo, ha mai pensato che cinema potrebbe descrivere la guerra che c’è oggi?

Si cerca di guardare all’essenza del tema.
Un film che potrebbe catturare al meglio l’essenza del mondo di oggi e delle guerre di oggi non sarebbe affatto un film di guerra, ma qualcosa di molto diverso, forse il contrario addirittura, perché utilizzare le immagini di guerra nel cinema commerciale è un modo di perpetuare il sensazionalismo della guerra stessa.
Penso che un film molto pacifico potrebbe sintetizzare l’essenza del mondo di oggi, e poiché per farlo dovremmo iniziare a volgere lo sguardo in un’altra direzione .

Il libro è inspirato al grande romanzo di Joseph Conrad, nel passato anche Welles aveva pensato di adattarlo. Lei ha mai studiato o si è documentato sul lavoro svolto dal regista americano e se nel suo film ce ne sono tracce?

Superficialmente conoscevo un po’ del suo lavoro, nello specifico un adattamento per la radio, però non è preciso dire che Apocalypse Now si basa sul romanzo di Conrad, era un copione originale che è stato scritto da Millius e Lucas , si certo è vero che hanno derivato le loro idee da Conrad ma era comunque uno script originale.
Quando io ho fatto il film questo è cambiato in corso d’opera, originariamente volevo fare un film di guerra classico ma da solo si è via via evoluto ed è ironicamente divenuto un film d’arte. Per esempio il personaggio che doveva interpretare Dennis Hopper era in origine un soldato, che poi è stato cambiato in reporter e questo è tutto frutto del lavoro di Dennis.

Quarta clip tratta da Rumble fish la sequenza nel negozio di animali.

Lei ha sempre cercato di essere all’avanguardia nelle nuove tecnologie per introdurle nel cinema, non crede che l’utilizzo di queste tecnologie abbia un po’ ridotto e appiattito la versatilità del linguaggio cinematografico?

Per quanto riguarda l’introduzione del digitale, quello che è successo al cinema è davvero straordinario. Oggi non esiste nulla che non si possa far vedere sullo schermo, qualsiasi cosa immaginata dallo scrittore può essere creata . Però troppo spesso quello che è al cuore dello spettacolo del cinema e del teatro finisce per essere evitato dalle nuove tecnologie, quello che è al centro della questione è la scrittura e la recitazione, che sono l’essenza del cinema. Quando le nuove tecnologie sono utilizzate al servizio di questi due elementi allora non vi è nulla da temere.

Quinta clip tratta da Tucker la sequenza del processo.

Il film Tucker racconta le vicende di un sognatore che si scontra con l’industria automobilistica, quanto c’è di Coppola in Preston Tucker?

Quando ho cominciato con Il padrino tutti dicevano non sei tu Corleone? Un personaggio freddo machiavellico, poi ho fatto Apocalypse Now e mi hanno detto sei tu il megalomane? Sei tu Kurtz? Sei tu il pazzo? E in tutto questo c’era una certa verità naturalmente. Con Tucker la cosa colpiva di più perché io ho comprato uno Studio, ora ho fatto Un’altra giovinezza, e mi chiedono: la storia riguarda te? Vuoi essere un giovane regista, io dico che è vero, non posso mentire. In definitiva credo che ogni autore se vuole avere un tocco personale deve impegnare se stesso e mettersi in gioco personalmente.

Sesta e settima clip da Il Padrino e La Dolce Vita sequenza del frutteto tra Al Pacino e Marlon Brando e sequenza del ritorno la mattina dopo con Marcello Mastroianni e Anita Ekberg.

La sequenza tratta dal “Il Padrino” non esiste nel libro, se non sbaglio le è stata suggerita da Robert Tan, vero? E Come mai?

Si è vero è stato proprio Robert Tan a proporla, per gli studios il film era troppo cupo, allora lo feci vedere a Robert Tan, che ne rimase entusiasta, e mi suggerì appunto solo di aggiungere questa scena scritta insieme, che è diventata una scena cruciale per il film stesso. Devo aggiungere che non sarebbe diventato il grande successo che è se non ci fosse stato Vittorio Storaro alla fotografia.

Come mai ha scelto “La dolce Vita”?

Il cinema ha appena cent’anni e si potrebbero scegliere scene dell’epoca del muto, o comunque della storia del cinema. In cento anni sono stati prodotti un quantità incredibile di capolavori, Kurosawa ne avrà girati da solo cinque o sei. Amo i film di Fellini, ma anche di Germi, di Rosi, di Bertolucci e di Antonioni. La Dolce Vita è per me speciale, perché è un film che ha catturato un momento della storia e lo ha reso immortale e poetico.

Cosa c’è della cultura italiana nel cieneasta Coppola?

Da piccolo mia madre mi diceva sempre che ero fortunatissimo perché vivevo in America, il più grande paese del mondo, e mio padre Carmine Coppola rispondeva: si, ma sei anche italiano e l’Italia ha contribuito più di ogni altro paese alla storia dell’arte, della letteratura, della pittura. Quindi mi reputavo fortunato perché avevo il beneficio di entrambe le culture.

Domande del pubblico

Ci sarà mai ancora in America una generazione di filmakers come quella che ha caratterizzato gli anni settanta?

Si certamente, c’è una grande generazione di giovani registi negli Stati Uniti come: Wes Anderson, P.T.Anderson, David Russell, Spike Jonze, Sofia Coppola, Tamara Jenkins e potrei andare avanti. La difficoltà per questi giovani è nel settore della distribuzione. Sono giovani di grande talento, sono puri e vogliono fare film molto personali, alcuni di questi vivono ne loro appartamentini di New York e non gli interessa guadagnare, ma solo continuare a scrivere e a lavorare.

La solitudine quanto è importante per chi fa l’attore e per chi fa il regista?

La solitudine è una bellissima parola, da bambino avevo la poleomelite e non avevo amici con cui giocare, ero solo ma non mi sentivo solo. Per un artista un certo grado di solitudine è importante, per leggere, per riflettere e per pensare.

La sua è stata una vita di successo, cresciuto in una famiglia di successo, come ha superato invece quei pochi momenti in cui questo le è venuto a mancare?

Mio padre e i mie zii erano delle persone di successo, in famiglia vi era molto il culto del talento, ma era impossibile a priori capire chi avesse talento, io volevo che mio padre mi accettasse e non andavo benissimo a scuola, ma non si po’ mai dire.
Un esempio è Il Padrino ero di ritorno da una sessione di montaggio e mi ricordo che uno degli assistenti mi parlò con molto entusiasmo del film The French Connection e continuava a parlare di Gene Hackman e di queste scene straordinarie io ero giù e demoralizzato e pensavo che fosse la fine per me come regista. Ma non si può mai dire.

Quanto sono importanti gli atti unici per i giovani cineasti? Nella vostra famiglia facevate degli atti unici, me lo può spiegare meglio?

Nelle università di cinema tutti vogliono appropriarsi di una telecamera, girare e montare, ma come asserivo prima la cosa più importante nel fare cinema è la scrittura e la recitazione. Il primo anno gli studenti dovrebbero fare degli atti unici, perché è una forma molto economica per mettere insieme scrittura e recitazione e provare il tutto con un pubblico senza aspettare sei mesi il montaggio ecc.
E’ un modo fantastico per presentare le idee e proporle a un pubblico di cui puoi vedere il volto e capirne le reazioni.
Un’estate in vacanza con tutta la famiglia io decisi di fare l’estate degli atti unici, si poteva scegliere sia tra la grande letteratura che scriverli. In principio erano tutti titubanti ma va via prima Sofia, poi Roman, e mio nipote Jason si aggregarono, piano piano tutti furono coinvolti nella cosa. Nel mio, l’attore principale si scordò tutto, quello di Roman fu il migliore di tutti e in quello di Sofia, Jeson, faceva una parte comica. Anni dopo quando Wes Anderson cercava un attore per Rushmore Sofia gli indicò il cuginetto Jason (Schwarrtzman).


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