INLAND EMPIRE

Chi di noi non si è mai interrogato sul criterio per cui un oggetto possa essere definito ‘artistico’? Quando e per quali caratteristiche il risultato di un processo creativo può elevarsi a vera e propria opera d’arte? Il concetto di oggetto artistico ha subito delle variazioni rilevanti dagli inizi del ’900, da quando cioè, in concomitanza della nascita delle avanguardie europee e successivamente statunitensi, il concetto stesso di arte subì delle variazioni rispetto al suo significato originario. Le teorie sul ’bello’, su ciò che dovesse ritenersi artistico si basavano su un processo evolutivo relativamente lento, almeno fini ai primi anni del secolo breve, in cui i promotori delle nuove avanguardie avevano in comune la rottura con le regole tradizionali, per dedicarsi a forme, tematiche e tecniche del tutto personali. Dai nuovi studi delle forme ai rivoluzionari approcci sul colore, dall’abbandono dell’armonia classica alle nuove sperimentazioni linguistiche: pittura, musica e letteratura si sono spinte al di là dei loro limiti convenzionali, e i vari artisti hanno utilizzato nuove tecniche e personali teorie per rappresentare in maniera più consona il rapido evolversi della società contemporanea.
La premessa diventa necessaria per identificare la chiave di lettura che abbiamo utilizzato dopo la visione di INLAND EMPIRE, opera destinata a suscitare numerose polemiche. Il nuovo lavoro di David Lynch non è un film, o meglio, non dovrebbe essere considerato tale, quanto piuttosto un ‘oggetto artistico’. In un film, ed intendiamo anche quelli più estremi e sperimentali, assumono comunque un’importanza rilevante quelle che sono le sue stesse peculiarità (fotografia, interpreti, sceneggiatura, tanto per menzionarne qualcuna). INLAND EMPIRE si presenta invece come un lavoro assolutamente anomalo da questo punto di vista, una sorta di rottura con i sistemi convenzionali di messa in scena. Non si può dire che Lynch non abbia mai sperimentato soluzioni stilistiche rivoluzionarie, né tanto meno che non abbia affrontato tematiche e problemi relativi alla società americana in senso convenzionale. La sua critica si evince nelle atmosfere inquietanti e spesso enigmatiche dei suoi film, in personaggi apparentemente senza alcuna funzione logica, con una spiccata tendenza al visionario e all’onirico.
L’oggetto artistico INLAND EMPIRE riesce ad andare oltre. Oltre la trama, oltre l’interpretazione, oltre il messaggio stesso. Il regista diventa una sorta di dio che lascia libera la sua mente di vagare in un intricato processo mentale più che in un razionale susseguirsi di eventi, e di fare ciò che vuole delle sue creature. La rottura si avverte proprio perchè, pur apparendo come un semplice film, una sorta di viaggio onirico all’interno di un incubo o, se vogliamo, un soggiorno di quasi tre ore nella stanza rossa di Twin Peaks, l’opera si spoglia di tutte le caratteristiche che lo rendono tale. L’uso del digitale, di continue transizioni, di immagini che si sovrappongono l’una all’altra, di luci intermittenti, di una sountrack molto suggestiva e poco convenzionale: ogni tecnica sembra asservire l’esigenza di ricostruire un intricato processo mentale di delirio e follia.
INLAND EMPIRE è molto più simile ai primi corti del regista del Montana (Six Figures, The Grandmother, The Alphabet), che alla complessa struttura di Strade Perdute e Mulholland Drive che - pur trattandosi di due profonde esplorazioni dell’inconscio umano mascherate da thriller - mantenevano comunque una loro logica razionale. Stavolta Lynch compie un passo talmente lungo che rischiamo di non raggiungerlo. Un passo importante, una scelta stilistica radicale: la creazione di un oggetto artistico in cui perdersi completamente come la donna (o le donne) interpretata da Laura Dern. Se dovessimo osservare l’attrice unicamente con uno sguardo da critico cinematografico, noteremmo che spesso è monoespressiva, ma nel momento in cui siamo riusciti ad abbandonarci, ci siamo resi conto che le sue espressioni rispecchiano le nostre durante la proiezione del film. Visi esterrefatti, inquieti, increduli, come se tutto ciò che sta accadendo a lei fosse percepito anche dalle nostre menti.
E’ pur vero che questo ‘oggetto artistico’ presenta numerosi caratteri comuni alle opere precedenti di Lynch, a cominciare dalle immancabili tende rosse, che sin da Twin Peaks sono sempre state ciò che divideva l’uomo dal suo inconscio, dalla sua follia, dal suo stesso destino. Molti personaggi ed oggetti sono delle costanti in molte sequenze, tanto da diventare il punto di riferimento per non cadere totalmente nel baratro dell’incomprensione totale. Ma non solo. Lynch si diverte a prenderci in giro, a fornirci false piste per comprendere il suo lavoro. Parla di sceneggiature maledette legate a storie di omicidi (neanche fosse un horror di serie Z), ci induce a pensare che si tratti di un film nel film, o che gli sprazzi più visionari siano necessariamente legati fra loro o abbiano necessariamente un senso. Basta poco però per capire che, al di là di qualche elemento ricorrente, tutto è destinato al caos.
In definitiva INLAND EMPIRE, che abbiamo voluto osservare in senso molto più ampio di un film ‘normale’, non può non affascinare. Si tratta di presunzione o di un’ulteriore perla? Non lo sappiamo e in fondo non ci interessa neanche chiedercelo. Quello che auspichiamo è che questo lavoro non venga definito esclusivamente ‘film’ perchè si tratta di qualcosa che va oltre il concetto di cinema, diventando automaticamente esperienza realmente vissuta. Non ci sono più simbolismi, niente significa qualcosa in più di ciò che è. Si tratta di arte e delirio allo stato puro, il cui mescolarsi lascia addosso una forte inquietudine. D’altronde, se l’arte è il veicolo tramite il quale accediamo alla comprensione di noi stessi, questo film, che riteniamo giusto chiamare ‘oggetto artistico’, può permetterci di osservare da vicino le nostre paure. Speriamo almeno di non aver paura di questo film così moderno, forse troppo, troppo avanti, proiettato verso un futuro che rincorriamo ancora molto faticosamente.
Regia, sceneggiatura e montaggio: David Lynch; musica: Angelo Badalamenti; interpreti: Laura Dern, Jeremy Irons, Harry Dean Stanton, Justin Theroux, Scott Coffey, Julia Ormond, produzione: INLAND EMPIRE productions- David Lynch, Mary Sweeney; distribuzione: Bim; origine: USA/Polonia/Francia, 2006; durata: 168’
