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INSIDE MAN

Pubblicato il 7 aprile 2006 da Luca Lardieri


INSIDE MAN

Tra una pubblicità della BMW e una della Telecom (veramente bella, con Gandhi protagonista, mi stava quasi convincendo a tornare con quella compagnia telefonica) e soprattutto tra uno dei film più importanti post undici settembre, La 25a ora, e uno dei film più brutti della sua storia di regista, Lei mi odia, Spike Lee ci regala il suo primo joint commerciale o semicommerciale e lo fa con i fuochi d’artificio. Ricordiamo che joint è un’espressione gergale che in inglese si usa per indicare il viaggio mentale provocato dallo spinello e sicuramente è questa l’espressione più consona per “etichettare” quasi tutte le opere di Lee ma sicuramente non quest’ultima. Infatti il film, pur essendo molto bello e nonostante presenti una sceneggiatura sicuramente ben scritta e dall’ottimo ritmo (William Shakespeare l’avrebbe intitolata: Molto rumore per nulla), è un classico del genere poliziesco. Il tocco del regista di Atlanta non si percepisce tanto nella storia (sulla quale influisce ben poco), quanto sui bellissimi personaggi dalle molteplici sfaccettature che, vuoi per motivi politici, vuoi per ragioni di razza, si ritrovano a dar vita a siparietti e a battute dal sapore di Crooklyn o di Fa la cosa giusta. Il cast è tale da far sembrare il film la risposta newyorchese a Ocean’s Eleven; Denzel Washington, Jodie Foster, Clive Owen, Willem Dafoe... tutti strepitosi e tutti estremamente a loro agio nelle parti di: negoziatore talentuoso al suo primo incarico (Washington); mediatore traffichino dall’aspetto impeccabile e dalle mani luride (Foster); malvivente (?) calcolatore lucido e freddo (Owen); poliziotto poco intelligente e pieno di pregiudizi (Dafoe). Se vogliamo, tutti tipici cliché del genere ma che nelle mani di Spike Lee diventano persone comuni che non si faticherebbe ad incontrare tra i vicoli di New York. Ancor più dei protagonisti, sono i comprimari se non addirittura i figuranti a dare al film lo specifico taglio leeiano con gag e situazioni tragicomiche dal piglio pungente ed estremamente satirico: al riguardo è fantastica la sequenza in cui un ostaggio indiano viene scambiato per arabo mettendo in agitazione tutta la polizia di New York che immediatamente l’associa ad un attentatore imbottito di tritolo.
In chiusura va detto che dal punto di vista della costruzione della messa in scena il regista afroamericano sta diventando sempre più un virtuoso, attraverso sequenze e piani-sequenza degni del miglior De Palma.
In due parole, un film piacevole e divertente che dimostra come va fatto ed affrontato un film “commerciale” al giorno d’oggi. Perché, quando un prodotto ben realizzato riesce a coinvolgere anche il pubblico, se non si è ancora riusciti a raggiungere la quadratura del cerchio sicuramente vi si è molto vicini.

(id.) Regia: Spike Lee; sceneggiatura: Russell Gewirtz; fotografia: Matthew Libatique; montaggio: Barry Alexander Brown; musica: Terence Blanchard, A.R. Rahman (additional songs); interpreti: Denzel Washington (Detective Keith Frazier), Clive Owen (Dalton Russell), Jodie Foster (Madeline White), Christopher Plummer (Arthur Case), Willem Dafoe (Captain John Darius), Chiwetel Ejiofor (Detective Bill Mitchell), Carlos Andrés Gómez (Steve), Kim Director (Stevie), James Ransone (Steve-O), Bernie Rachelle (Chaim); produzione: Jonathan Filley, Brian Grazer, Karen Kehela, Jon Kilik, Daniel M. Rosenberg, Kim Roth; distribuzione: Universal; origine: USA 2006; durata: 129’; web info: sito ufficiale

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