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INTRIGO A BERLINO

Pubblicato il 2 marzo 2007 da Salvatore Salviano Miceli


INTRIGO A BERLINO

Quando il citazionismo diventa mero esercizio di stile, il rischio è quello di doversi confrontare con una narrazione che non possiede in sé la necessaria forza per procedere lungo una direttrice indipendente senza rimanere ingabbiata da un continuo, a volte pedante, gioco di rimandi.
Intendiamoci, Soderbergh è regista capace di dominare, ne ha dato prova, i generi più svariati e The Good German (t.i. Intrigo a Berlino) rappresentava una sfida quantomeno interessante sia per il rapporto con un modo di fare cinema ed una messa in scena tipici della Hollywood anni ’40 sia perché quando il duo di Section Eight (casa di produzione fondata con Clooney) si riunisce, una qualche curiosità è sempre solleticata.
E se, entrando per un attimo nel filologico, c’è poco da eccepire, dal momento che il regista si spoglia di qualsiasi personalismo stilistico appropriandosi in pieno del linguaggio dell’epoca di riferimento, le cose cambiano quando è il film nella sua interezza a dover essere preso in esame.
Non basta, infatti, rendere espliciti omaggi a pellicole come Il Terzo Uomo (Carol Reed – 1949), Scandalo Internazionale (Billy Wilder – 1948) o, soprattutto, Casablanca (Michael Curtiz – 1942) per dare compiutezza ad una storia che, tratta dal romanzo di Joseph Kanon, avrebbe pure le caratteristiche per risultare avvincente, ma finisce per perdersi tra le pieghe di una trasposizione cinematografica lontana dalla piena risoluzione.
George Clooney è Jake, giornalista americano che torna a Berlino per seguire la conferenza di pace di Potsdam, ritrovandosi invischiato in omicidi, spionaggio e giochi di potere in cui è coinvolta anche la sua ex cronista, ed ex amante, interpretata da una sempre stupenda Cate Blanchett, l’unica forse a reggere il peso del proprio ruolo, a fronte di un Clooney, a tratti, quasi impacciato e di un Tobey Maguire più a suo agio nei panni di Peter Parker (e del suo alter ego mascherato) che in quelli di uno scaltro, ma un po’ sconclusionato, doppiogiochista.
Ciò che pare mancare è una spinta, in termini di piglio registico, più decisa nell’innalzare il ritmo della narrazione che, facendosi quasi scudo di una pur presente bellezza formale, pare crogiolarsi in quello che finisce per risultare un piatto resoconto di fattio ed eventi, troppo al riparo da una emotività e da un solidità strutturale di cui le opere citate, al contrario, erano ben fornite.
Non stupisce quindi l’accoglienza tiepida sia del pubblico americano, qui invitato a confrontarsi con capitoli fondamentali del proprio passato cinematografico, e della platea berlinese. Un’occasione persa, dunque, per i due amici ma anche per noi spettatori. Era lecito attendersi qualcosa di più.


CAST & CREDITS

(The Good German) Regia: Steven Soderbergh; soggetto: Joseph Kanon dal suo romanzo ‘Il buon patriota’; sceneggiatura: Paul Attanasio; fotografia: Steven Soderbergh montaggio: Steven Soderbergh; musica: Thomas Newman Kohout; scenografia: Philip Messina; costumi: Louise Frogley; interpreti: Gorge Clooney (Jake Geismer), Cate Blanchett (Lena Brandt), Tobey Maguire (Tully); produzione: Sunset – Gowers Studios, Warner Bros., Section Eight Ltd.; distribuzione: Warner Bros.; origine: USA; durata: ‘105;


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