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Io, loro e Lara

Pubblicato il 7 gennaio 2010 da Edoardo Zaccagnini


Io, loro e Lara

Ecco il Verdone che aspettavamo, il Verdone che speravamo. Quello popolare e sofisticato insieme, narratore di storie oltreché pedinatore di tic italici, che comunque non mancano nel film, e che condiscono il racconto di sapore unico, dopo essere stati impeccabilmente fotografati dall’autore e dai suoi due collaudati sceneggiatori: Plastino e Marciano. Ecco il Verdone che vogliamo, libero dalle pressioni di Aurelio ed attento ad un cinema di costume confezionato con cura, armonia, brillantezza e buon gusto. Un cinema delicato e genuino, romanocentrico, certo, ma mai volgare. Divertente, malinconico più che amaro, saporito più che grottesco, godibile dall’inizio alla fine. Trent’anni esatti dopo l’esordio di Un sacco bello, ecco una commedia a tutti gli effetti, buona nell’equilibrio delle parti, con la pochade che si affaccia coi tempi giusti nel racconto, così come gli equivoci e le battute esilaranti, lasciando alla narrazione il compito di realizzare uno specchio, mica troppo deformato, dell’Italia di oggi. Il film, con la sua apprezzabile onestà, si pone parecchi gradini sopra il fragore dell’imitazione, della caricatura, mai vuota e spesso geniale (vista la forza specifica di Carlo Verdone) dell’italiano della porta, della strada, del negozio, della chiesa accanto. Io loro e Lara, pellicola interpretata da un cast meravigliosamente amalgamato, è una riflessione interessante e non troppo ambiziosa sui nostri tempi tirchi e avari di filantropia, visto che affronta con maturità e precisione temi sociali importanti, non rinunciando, nel contempo, a far sor-ridere lo spettatore, nè a far sentire ancora vivi certi verdonismi adorabili per il seguace fido e profondo conoscitore delle opere e delle gag di questo autore talentuoso e sensibile. Film corale di situazioni prima che di macchiette, l’ennesima opera del malin-comico regista romano parla dell’incapacità culturale di ascoltare gli altri, vicini o lontani, parenti o stranieri che siano. Ecco il pilastro tematico di una delle opere più intelligenti, tra le tante, spesso più valide ed importanti di quanto ci si renda conto, del regista romano. Al centro del film un sacerdote, figura classica nella filmografia di Carletto il buono, ma mai come stavolta intrisa di realismo e presente. Il missionario che torna dall’Africa, con tanto di confusione spirituale, somiglia a quello morettiano de La messa è finita, visto che nemmeno in quel film la centralità di un prete serviva per parlare di religione. Il don sobrio di Verdone è un clericale basso e moderno, fitto di vita e di uno sguardo puntato sull’oggi. Nella sua città d’origine, una Roma di quartieri e appartamenti borghesi fusi ad antichi splendori imperiali, l’uomo attento agli altri, ritrova una situazione disastrata: la fauna parentale, anche questa ricorrente nel suo cinema mai estraneo ad una lantente autobiografia, si mostra mostruosa e ridicola. Il sacerdote trova un vecchio padre con un parrucchino color pannocchia (un mitico Sergio Fiorentini) innamorato di una (neanche troppo) giovane donna moldava. Balla con lei e ci fa l’amore col viagra, mentre gli altri due figli, cocainomane affarista il primo (un grande Marco Giallini), psicoterapeuta nevrotica e separata la seconda (un’insospettabile e perfetta Anna Bonaiuto), non si danno pace per il timore che la straniera si mangi, dopo averlo fatto morire dagli sforzi, tutto il patrimonio di questo padre abbandonato ai piaceri, tutto sommato sani, della vita. Una sera un’autoambulanza sosta sotto casa dell’anziano uomo, e quando i figli accorrono lo fanno convinti che sotto quel lenzuolo ci sia il vecchio padre. Primo grande equivoco, svolta decisiva del film. Avvolta in quel telo bianco, morta prematuramente e misteriosamente, c’è la donna immigrata, ed al suo funerale compare una figlia bellissima: una Laura Chiatti definitivamente attrice, dal volto incantevole e dalle sfumature recitative pregevoli, in un ruolo centralissimo e non facile. La trama del film si avvolge intorno al rapporto tra questo prete spaesato e questa ragazza disagiata, ma per fortuna la sceneggiatura evita di trasformare il film in una storia d’amore particolarissima. La strada è un’altra e le movimentate vicende che si creano offrono imprevediblità al film, lasciando entrare altri temi e figure che aggiungono colore e ritmo al lavoro. Su tutte l’energia speciale dell’irresistibile Angela Finocchiaro. Io, loro e Lara costituisce un mattone importante nella filmografia di Carlo Verdone, un autore cinematografico, è bene sottolinearlo, oltrechè un comico eccezionale, che racconta da tantissimi anni il nostro paese, portando gli italiani al cinema e lasciandoli quasi sempre soddisfatti. Un regista che tiene viva, con un linguaggio diverso da quello di Paolo Virzì, la tradizione della grande commedia italiana. E questo suo ultimo film ci fa ben sperare per il suo futuro professionale e per quello nostro di spettatori. Meno male che Carlo c’è!

Leggi l’intervista a Carlo Verdone


CAST & CREDITS

Regia: Carlo Verdone; sceneggiatura: Carlo Verdone, Pasquale Plastino, Francesca Marciano: fotografia: Danilo Desideri; montaggio: Claudio Di Mauro; interpreti: Carlo Verdone, Laura Chiatti, Marco Giallini, Anna Bonaiuto, Sergio Fiorentini, Angela Finocchiaro; produzione: Warner Bros Entertainment Italia; distribuzione: Warner Bros Pictures Italia


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