Jayne Mansfield’s car

Billy Bob Thorntorn approda alla sua quarta regia e come molti altri suoi collegi, al pari intelligenti e volenterosi, non riesce ad evitare la maledizione del “cinema d’autore-all’europea-fatto-da-un- americano”. _ Sfortunatamente, in questa casistica si registra una serie di possibilità piuttosto limitate e molto rischiose, ovvero: o sei Altman (e allora però la tua produzione é ormai irrimediabilmente conclusa) o sei un Woody Allen dei tempi d’oro (che ormai non ce lo ricordiamo quasi più) o sei un giovane regista che vince il Sundance con una commedia come Juno o Little Misss Sunshine, che viene poi immediatamente risucchiato dallo show business hollywoodiano e si ritrova neanche troppo controvoglia a girare Mission Impossibile 25. Oppure il caso in questione, ovvero un attore bravo e intelligente che vuole uscire dai cliché che gli cuce addosso la macchina produttiva di cui sopra e decide che i film se li gira (e fin qui tutto bene) e se li scrive (ahinoi) da solo. Il problema di queste lodevolissime operazioni é, infatti, sempre e comunque la sceneggiatura: alla ricerca di un percorso autonomo e originale, ma poco a loro agio con gli oneri dell’essere la mente artistica di tutto, i novelli autori a metà della sceneggiatura si svegliano dall’euforia della libertà produttiva e si ricordano che oltre al mercato europeo esiste quello statunitense, i cui spettatori non sembrano avere le sinapsi tutte a posto. La conseguenza é, quindi, che bisogna spiegare loro tutto, in particolare tutto quello che e stato già accennato nel primo tempo, in maniera peraltro estremamente efficacie.
Jayne Mansfield’s car é quindi un film letteralmente spaccato a metà (la cesura é proprio dopo la comparsa della macchina del titolo) tra una bella storia avvincente e divertente, seppure non nuovissima e dai meccanismi abbastanza prevedibili, e una specie di noiosissimo Kammerspiel in cui tutti i personaggi si rinfacciano, esternalizzandoli, tutti i conflitti e i rancori del passato, affogando in un mare di metafore (la corrente che salta ci piaceva di piu in Settembre di Woody Allen) e frasi fatte. Un aspetto interessante é costituito dal fatto che, nel drammone familiare che coinvolge almeno 3 generazioni, le donne siano figure estremamente marginali: al pari di Extremely loud and incredibly near di Daldry visto sempre qui alla Berlinale, colpe, conflitti, segreti&bugie riguardano padri e figli maschi. La donna qui é semplicemente la causa scatenante ma non é forse un caso che non si veda mai: riunisce al suo funerale due mariti e svariati figli e nipoti, che altro non fanno che rinfacciarsi il loro grado di eroismo nelle ultime tre guerre (il film é ambientato nel 1969 e si parla della prima e della seconda guerra mondiale e ovviamente del Vietnam in corso), cosa che forse dovrebbe simboleggiare la trasformazione degli Usa dal Grande Paese che ha salvato il mondo a gli Yankees guerrafondai contro cui improvvisamente tutto il mondo manifesta. Con l’epica made in Usa scompare, però, anche tutta l’ironia che sottende la prima parte, grazie soprattutto al gioco del confronto interculturale tra il primo marito americano dell’Alabama (Robert Duvall) e il secondo marito britannico (John Hurt, non si sa tra i due chi sia il piu bravo) e le relative famiglie. Billy Bob si ritaglia su misura il ruolo dell’eccentrico Skipe ex pilota di guerra pluridecorato, ora tossico nullafancente innamorato delle sue macchine, con i capelli tinti e la smorfia amara e legnosa di Bogart (visto di persona é invece molto piu giovane e sorridente) ma si ferma sempre un attimo prima di andare sopra le righe. Nel ruolo del fratello hippy e pacifista, un sorprendente Kevin Bacon, che invecchia poco e bene.
Regia: Billy Bob Thornton; sceneggiatura: Billy Bob Thornton, Tom Epperson; fotografia: Barry Markowitz; montaggio: Lauren Zuckerman; musica: Owen Easterling Hatfield; interpreti: Billy Bob Thornton, Robert Duvall, John Hurt, Kevin Bacon, Ray Stevenson, Frances O’Connor; produzione: AR Productions; origine: Russia/USA 2011 durata: 122‘
