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JARHEAD

Pubblicato il 17 febbraio 2006 da Luca Lardieri


JARHEAD

Lo sterminato e assolatissimo deserto del Kuwait. Centinaia di soldati che corrono in mimetica e carichi di armi. Un nemico invisibile ma spaventoso che potrebbe essere ovunque e da nessuna parte. Jarhead non è un film di guerra, ma un film sui soldati, sui loro sogni, sulla loro vita, sulla loro psiche; girato come fosse un documentario, con un uso costante della macchina a mano e la quasi totale assenza di complessi movimenti di macchina. Lo spettatore viene portato a vedere in prima persona le difficoltà della vita militare e a cosa essa può portare (paura e solitudine su tutte) e quasi inconsciamente si trova a disagio, perché assiste ad un film di guerra dove la guerra sembra essere assente, niente attacchi improvvisi, imboscate o scene visivamente cruente. Eppure ci si sente continuamente minacciati da un qualcosa che all’improvviso potrebbe accadere, da ciò che inavvertitamente potrebbe interrompere goliardiche e interminabili partite di football, giocate con indosso maschere antigas, e scatenare l’inferno (come prontamente direbbe Massimo Decimo Meridio). Jarhead è tutto qui, un film geniale nella sua semplicità, un moderno Deserto dei Tartari che l’eccellente Sam Mendes porta avanti magistralmente per tutte e due le ore della sua durata. Un’opera che parla della prima Guerra del Golfo mostrandocela così come è stata realmente, raccontata in prima persona dal Marines Anthony Swofford (interpretato dal sempre più sorprendente Jake Gyllenhaal), ma che vuole mostrarci soprattutto il Medioriente e i soldati americani di oggi. Sono passati più di dieci anni da quella guerra e alla guida degli U.S.A. non c’è lo stesso Bush (anche se la differenza tra padre e figlio sta solamente in due lettere: Jr.) ma c’è ancora quello stesso conflitto (o per lo meno uno del tutto simile), portato avanti con gli stessi argomenti del 1990: la conquista di un territorio ricco di petrolio e l’annientamento delle armi di distruzione di massa in possesso degli arabi. Nel film ci viene mostrato come i soldati vengano manipolati e portati a distruggere la loro mente e a soffocare i loro legami affettivi per falsi ideali e finte motivazioni. Li si convince a mettere a repentaglio la vita per difendere il proprio Paese, quando in realtà essi vengono sfruttati per ampliare le ricchezze di una Nazione che ne possiede già molte, forse troppe. Tutto ciò Sam Mendes e il suo bravissimo direttore della fotografia, Roger Deakins (inseparabile d.o.p. dei fratelli Coen) lo imprimono sulla pellicola con la stessa forza di un’opera di Michael Moore ma con la nitidezza della vita reale, senza far sentire la presenza della macchina da presa e dei suoi colori documentaristici. Una specie di documentario vissuto in prima persona, quasi come se lo spettatore si tramutasse in intervistatore o in inviato speciale. Insomma Mendes ci ha regalato una terza gemma veramente originale e ben fatta che continua in un certo qual modo il discorso sull’America cominciato sette anni fa con American Beauty e che senz’altro va messa nella lista dei tre film più interessanti del 2005. Dispiace non vedere il nome di quest’opera inserita in alcuna delle cinquine in corsa per gli Oscar, anche perchè almeno la sceneggiatura non originale (di William Broyles Jr., tratta dal best-seller Jarhead di Anthony Swofford) avrebbe meritato davvero una nomination.

Regia: Sam Mendes; soggetto: Anthony Swofford; sceneggiatura: William Broyles Jr.; fotografia: Roger Deakins; montaggio: Walter Murch; musiche: Thomas Newman; costumi: Albert Wolsky; scenografia: Dennis Gassner; interpreti: Jake Gyllenhaal (Anthony Swofford), Peter Sarsgaard (Allen Troy), Lucas Black (Chris Kruger), Chris Cooper (Tenente Colonnello Kazinski), Jamie Foxx (Sergente Maggiore Sykes); prodotto da: Universal Pictures, Neal Street Productions, Red Wagon Productions, Scamp Film And Theatre; distribuito da: Uip; origine: U.S.A.; durata: 123’; web info: sito ufficiale.

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