Jissoji Akio: riflessioni sull’arte e sull’uomo

Jissoji Akio: riflessioni sull’arte e sull’uomo
Fra le brevi retrospettive organizzate dal far east spicca l’opera di Jissoji Akio, regista dalla lunga carriera ( pardo d’oro nel 1970 per This transient Life), pressoché sconosciuto in Italia. Il festival mette in programma tre adattamenti cinematografici tratti dall’opera di Edogawa Rampo. Rampo, pseudonimo di Hisai Taro (1894 -1965), rappresenta uno dei maggiori autori di gialli del Giappone. La sua bibliografia, inedita in Italia, è costituita da racconti brevi del mistero e del terrore, che rievocano gli scritti di A.C.Doyle e E.A.Poe (alla cui omofonia si deve il suo pseudonimo). Dall’opera di Rampo, Jissoji, trae una serie di film fra cui “A watcher in the attic” (1994), “Murder on D street” (1997) e il recente “Rampo Noir” (episodio “Mirror Hell”) realizzato a otto mani con Takeuchi Suguru, Sato Hisayasu e Kaneko Atsushi. La struttura dei racconti e delle pellicole è sostanzialmente identica, incentrata sul ruolo di Akechi Kogoro, Sherlock Holmes d’oriente. Un giallo classico; omicidio misterioso, geniale illuminazione, risoluzione finale. All’interno di una struttura canonica, finanche antiquata, Jissoji rielabora molti dei suoi temi chiave. La componente onirica, spesso presente nella sua opera e manifesta in “A watcher in the attic”, gli consente di estraniarsi dal contesto, ponendosi appunto nel ruolo di osservatore. Da lì, distante dalle bassezze umane, può analizzare i rapporti sociali, il legame fra arte e autore, fra individuo e follia. Lo scopo di Akechi infatti non risiede nella banale risoluzione di un caso spinoso ma nell’indagare nelle meschinità dell’animo umano. Una trasposizione filmica dello stesso autore. “A watcher in the attic” può esserne un paradigma. L’osservatore del titolo è un giovane di nome Goda, che scopre, durante una notte, un passaggio che conduce al sottotetto della locanda in cui vive. Da questo limbo onirico osserva la vita degl’ignori coinquilini. Ciò che vede è la depravazione umana, in tutte le sue forme. L’umiliazione fisica delle prostitute, quella morale, accidiosa, di un nullafacente, la follia di una donna persa nella sua arte e le bassezze del denaro. Gli occhi di Goda spiano la vita nell’intento di indagare l’animo e i principi che regolano la convivenza fra individui, lasciando allo spettatore il ruolo di decidere. La funzione dell’investigatore in questo caso è marginale, in secondo piano rispetto a Goda. Nel breve finale in cui appare a risolvere il caso svela tuttavia la profonda differenza che lo divide dai suoi epigoni occidentali. Akechi, scoperto l’assassino, non lo denuncia. Il suo ruolo non è quello di indagatore dei fatti, ma delle persone, delle menti. In “Mureder on D street”, il canone del giallo è maggiormente rispettato. Siamo nel 1927, nel quartiere di Dangozaka al centro di Tokio, in una libreria. Luogo e periodo in cui lo stesso Rampo lavoravano in una simile attività. Jissoji sfrutta il personaggio di Akechi per analizzare il rapporto fra artista e opera d’arte, discorso centrale in tutta la sua poetica . Se nel film del’94 Goda rubava la scena all’investigatore, in questa pellicola, Seiichiro, artista falsario, gli fa da paritario co-protagonista. Una donna di nome Tikiko, proprietaria della libreria, ingaggia il falsario per avere delle copie di alcuni pregiati disegni a sfondo sessuale di cui è in possesso. Seiichiro, esaltato all’idea di confrontarsi con opere tanto rare e preziose, decide di accettare la sfida. Un sfida in primis con se stesso. Il rapporto fra autore e opera è visto da Jissoji come una malattia, una febbre che colpisce il protagonista, incapace di riconoscere in qualcos’altro, fuori da se, la vera Arte. E’ lui stesso, Seichiiro, a incarnare lo spirito della musa, l’unico possibile modello. Una visione totalizzante dell’estasi artistica nella cui follia il falso diviene unico e vero pezzo originale. Pazzia che conduce alla morte. Fra erotismo e violenza, Jissoji, scruta la mente umana senza mai tentennare davanti alla brutalità dell’esistenza. Attraverso un “anarchia libertina”* esplora le motivazioni profonde che legano gli individui fra loro, alle loro opere, alla loro lucida follia
*Morandini “Dizionario dei film”
