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Jüd Süss – Ein Film Ohne Gewissen – Berlino 2010 - Concorso

Pubblicato il 19 febbraio 2010 da Giovanella Rendi


Jüd Süss – Ein Film Ohne Gewissen – Berlino 2010 - Concorso

Mentre la stampa italiana si scatena a rintracciare l’entusiastica recensione del giovane Michelangelo Antonioni al Festival di Venezia del 1940, vale la pena forse chiedersi che senso abbia oggi fare un film sul making of di Jüd Süss di Veit Harlan, uno dei più rivoltanti esempi della propaganda cinematografica antisemita voluto da Goebbels. Non è l’unico e forse nemmeno il peggiore, basti pensare ai famigerati documentari Der ewige Jude (L’ebreo eterno) di Fritz Hippler, pseudo-scientifica riepilogazione dell’ebreo visto come parassita sociale o Der Führer schenkt den Juden eine Stadt (Il Führer regala agli ebrei una città) di Kurt Gerron, idilliaca rappresentazione del campo di Theresienstadt con i suoi prigionieri costretti a fare da comparse in casette con fiori alle finestre, prima di essere spediti nelle camere a gas. Jüd Süss è sicuramente il più famoso, non solo oggi (le cui proiezioni sono rare e sempre accompagnate da un dibattito introduttivo) ma soprattutto all’epoca, quando fu visto da 20 milioni di spettatori in tutta Europa e fu estremamente utile a fomentare gli animi già poco caritatevoli delle SS e dei responsabili dei campi di concentramento tedeschi (per loro stessa ammissione allo “Auschwitz-Prozess” di Francoforte).
Del film si sa molto: come Goebbels lo considerasse un’alternativa vincente alla cosiddetta “propaganda cinematografica diretta”, da lui reputata controproducente, come stravolga a beneficio dell’ideologia nazista il romanzo storico originale dello scrittore ebreo Leon Feuchtwanger del 1925 e come vi sia stato coinvolto il gotha della cinematografia nazista, ovvero il regista Veit Harlan, la moglie attrice Kristina Söderbaum, Heinrich George, Werner Krauss già Caligari, e il poco noto Ferdinand Marian nelle vesti di protagonista. Ma chi era veramente Ferdinand Marian e perchè fu chiamato proprio lui ad interpretare uno dei film più rappresentativi dell’ideologia di regime? Il film di Oskar Roehler, sceneggiato da Klaus Richter (che sul tema dell’antisemitismo in Germania ha scritto anche il non memorabile Comedian Harmonists) parte proprio da questo interrogativo, per ripercorrere poi la presunta discesa agli inferi dell’attore fino alla sua misteriosa morte. Ed è questo il primo di una serie di clamorosi errori: per quanti dubbi possa aver avuto sull’opportunità di interpretare un simile ruolo, quanto vi sia stato costretto e quanto abbia tentato di rendere umano e simpatico il protagonista, resta il fatto che Süss Oppenheimer ha e avrà sempre il suo volto sullo schermo. Attore altrimenti non memorabile, ma effettivamente dal fascino diabolico nel film di Harlan, dopo il processo di denazificazione sarebbe tornato a lavorare in teatro e forse dimenticato, se non fosse morto in un incidente stradale nel 1946, incidente che subito fu considerato un suicidio per il senso di colpa per il suo ruolo più famoso.
Tutto questo non giustifica l’ennesimo film sul nazismo (ma c’è qualcuno che voglia occuparsi, che so, degli stermini nella Cambogia di Pol Pot, anche se gli Khmer rossi sono molto meno eleganti delle SS?) e soprattutto non giustifica una pellicola che riunisce in maniera esemplare tutti i più biechi clicheés sul periodo storico e sulla responsabilità individuale dell’artista. Sullo sfondo di una ricostruzione d’epoca a dir poco televisiva (tutto in piano americano, qualche primo piano nei momenti più “intensi”, un campo lungo neanche a pagarlo oro, dialoghi prevedibilissimi da sceneggiato di prima serata), il conflitto si articola all’interno del protagonista, ovviamente narcisista, alcoolizzato e puttaniere, che in buona sostanza vende l’anima al diavolo per ottenere in cambio il successo (ogni riferimento a Mephisto è puramente voluto). Tanto per movimentare le cose, gli autori del film gli hanno creato una moglie di origine ebraica, destinata ovviamente a fare una brutta fine e un collega ebreo che cerca di salvare ma senza impegnarcisi troppo, che a fine guerra lo rincontra e lo fa pestare da un gruppo di altri sopravvissuti, neanche fosse un boss mafioso con i suoi sgherri. A peggiorare una situazione già piuttosto scabrosa, si aggiunge la recitazione assolutamente istrionica e stereotipata di cui sono vittima tutti gli interpreti (a cominciare da Thobias “Commissario Rex” Moretti nella parte del protagonista, Moritz Bleibtreu nei panni di un isterico Goebbels, Martina Gedeck in quelli della moglie Anna) e un diffuso spirito kitch che raggiunge il suo apice nella scena di fornicazione di Marian con la moglie di un ufficiale SS davanti ad un pirotecnico bombardamento sullo sfondo.
Sinceramente riesce difficile capire come mai un film del genere sia stato presentato al festival e addirittura inserito nel concorso.


CAST & CREDITS

(Jüd Süss – Ein Film Ohne Gewissen) Regia: Oskar Roehler; Sceneggiatura: Klaus Richter; Fotografia: Carl F. Koschnick; Montaggio: Bettina Böhler; Musica: Martin Todsharow; Interpreti: Tobias Moretti (Ferdinand Marian), Martina Gedeck (Anna Marian), Moritz Bleibtreu (Goebbels), Armin Rhode (Heinrich George), Justus von Dohnanyi (Veit Harlan); Produzione: Novotny + Novotny Filmproduktion; Distribuzione: TF 1 International; Origine: Austria/Germania 2010; Durata: 114’.


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