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L’amore non basta

Pubblicato il 18 aprile 2008 da Carmelo Caramagno


L'amore non basta

«Va bene, facciamoci del male». Partiamo da questa massima morettiana per parlare di un film sulla carta dalle alte pretese (viene preso come riferimento il saggio Anatomia della critica di Northrop Frye e la sequenza finale si chiude citando un passo di Italo Calvino), ma nella pratica, cioè sullo schermo, di veduta ristretta di fronte al già polveroso panorama del cinema italiano contemporaneo.
Per una questione di principio si dovrebbero eliminare dalla programmazione delle sale tutti i film, soprattutto di produzione nostrana, che contengono la parola “amore” nel titolo. Tanto per non fare nomi, pensiamo ai vari Voce del verbo amore, Parlami d’amore, L’amore ritorna e così via che hanno funestato non pochi week end al cinema. A parlare qui non è un certo “snobbismo” intellettuale/cinefilo visto che i più grandi capolavori della storia del cinema hanno sempre una storia d’amore al loro interno, uno su tutti Vertigo. Il fatto è che ogni volta ci tocca assistere all’ennesima operazione di lancio, di cui ovviamente non si ricorderà più nulla il mese successivo all’uscita, destinata quasi per contratto a fallire.
L’amore non basta racconta di Angelo e Martina, l’uno alle prese con vari lavori saltuari, dai quali si licenzia continuamente per tentare di realizzare la sua grande passione, quella di scrivere; l’altra sempre in frenetico movimento, riempie le sue giornate con hobby, lavoro e studio. Il loro è un rapporto doloroso che va avanti tra molte difficoltà e malintesi. Noi seguiamo la vita dei due ragazzi e la loro storia d’amore, che alterna momenti di grande emozione ad altri di totale incomunicabilità. Alle spalle evidenti problemi individuali che condizionano ed influenzano i due protagonisti. Martina cerca di fare più cose possibili per non pensare al vuoto che ha dentro, un vuoto amplificato anche dal contrasto con la sua famiglia: la madre, infatti, si è risposata con una sorta di perdigiorno meridionale, che non le presta la minima attenzione. Angelo, invece, si sta dedicando ad una nuova storia che vede come protagonista Nicola, uno strano personaggio che, in un primo momento, sembrerà una persona reale da cui il ragazzo prende ispirazione, ma che poi si rivelerà essere la sua coscienza: il fantasma di suo padre che anche da morto continua ad influenzarlo.
Questa storia, scritta a quattro mani da Stefano Chiantini e Rocco Papaleo (che interpreta il fantasma del padre di Angelo, immettendo nel film tutta la sua verve ironica), pone al centro il senso di sospensione, la non definizone e la crisi dei rapporti tra i personaggi, i quali nonostante si amino, non riescono ad incontrarsi e comprendersi pienamente. C’è tra le righe una critica alla società moderna e all’individuo che si trova immerso in essa, un individuo che potrebbe avere qualsiasi età e potrebbe appartenere a qualsiasi classe, in una società in cui il rapporto interpersonale sta scomparendo. Ma anzichè presentarsi come un “dramma”, il film preme troppo l’accelleratore sul registro comico-grottesco, esasperando intenzionalmente delle situazioni e facendo dei personaggi, in alcuni momenti, delle caricature che non hanno un corrispettivo credibile nella realtà: Giovanna Mezzogiorno dopo aver finito il turno di lavoro, si tiene addosso la divisa da hostess per andare a lezione di violino, all’università e in giro per il paese.
La scelta della provincia, l’assunzione di una città "di montagna" (l’Aquila) o di un piccolo paese come orizzonte paesaggistico e formale è radicata alle origini del regista, per cui il cinema è un affare di terra, di spazio, di luoghi e sopralluoghi, è la riscoperta del paesaggio cinematografico nazionale, delle chiesette, delle fontane e dei palazzi appena segnalati dalle guide ma ricchi di tesori da apprezzare in silenzio. In questo territorio popolato dal disagio, dall’apatia e dall’insicurezza, Chiantini prova ad aprire dei varchi: lo vediamo subito nella scena iniziale in cui Angelo sembra dimenticare casualmente il suo diario personale sull’aereo. Martina, a sua volta, sembra trovarlo casualmente e volerlo restituire al passeggero con il quale durante tutto il viaggio c’è stato un intenso gioco di sguardi. Ma in realtà non è così, non c’è niente di casuale perché i due si conoscono già e non andranno certo verso l’inizio di una liason amorosa, smentendo così le aspettative degli spettatori, bensì verso l’ennesima occasione perduta. Le tensioni verso l’altro si ripiegano su sè stesse e sul proprio inevitabile scacco, dando l’impressione che ci sia un ritmo diverso del mondo che scorre intorno ai protagonisti del racconto.
Peccato che questa perdita di fuoco dei personaggi, che pure si evince in alcuni punti della sceneggiatura, non corrisponda alle modalità di messa in scena adottate dal regista abruzzese. In un’ora e mezza di film, ci sono troppi primi piani sui due protagonisti, la Mezzogiorno e Tiberi, una scelta di puntare sulla centralità dell’attore all’interno dell’inquadratura anche quando non richiesto; e troppo poco spazio lasciato a personaggi niente affatto secondari, che avrebbero potuto dare più senso alla narrazione, come il “discotecaro” un po’ stagionato, interpretato da uno straordinario Alessandro Haber (che vediamo sempre di meno, a malincuore, impegnato in questi ruoli al cinema): l’unico personaggio che forse rivela il titolo del film, nel senso che proprio a lui l’amore non basta e se lo va a cercare da tutte le parti.
Ad ogni modo L’amore non basta, frutto di una scommessa produttiva abbastanza rara nel cinema italiano, quello di un film il cui budget è interamente coperto da capitali privati, messi a disposizione da un gruppo di persone che negli anni ha seguito e sostenuto la crescita artistica di Chiantini, persuase anche dall’apporto positivo di Rocco Papaleo, che ha ridato nuova linfa al progetto, riuscendo a coinvolgere attori del calibro della Mezzogiorno e Haber, vorrebbe affrancarsi da quel cinema convenzionale che pretende di raccontare l’amore in maniera semplicistica come un percorso lineare e senza ostacoli, solcato da coppie fasulle, ma alla fine tira troppo la corda e finisce impantanato in quella stessa impalpabilità che cerca di raccontare.


CAST & CREDITS

(L’amore non basta); Regia: Stefano Chiantini; sceneggiatura: Stefano Chiantini, Rocco Papaleo; fotografia: Giulio Pietromarchi; montaggio: Cristina Flamini; musica: Piernicola Di Muro; interpreti: Giovanna Mezzogiorno, Alessandro Tiberi, Rocco Papaleo, Ivan Franek, Marit Nissen, Alessandro Haber; costumi: Sabrina Beretta; scenografia: Mariangela Capuano; produzione: Liupo Film; distribuzione: Mediafilm; origine: Italia, 2008; durata: 1 h ’27; web info: sito del distributore


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