L’arte della felicità
È un volo a planare quello di Alessandro Rak, come quello di un gabbiano che si libra sulle strade di Napoli, una città divisa fra "monnezza" e nobiltà, all’ombra di un Vesuvio bellissimo ed inquietante. Bello ed inquietante come i sogni e gli incubi che affiorano ne L’arte della felicità, delicato lungometraggio di animazione, sorprendente nel suo empatico fascino.
Lungo i vicoli di Napoli corre, il taxi guidato da Sergio, perdendosi e ritrovandosi lungo i gangli della sua stessa memoria. E così, fra un passeggero e l’altro, riemerge la storia di suo fratello Alfredo, amato e ammirato, partito un giorno per le vie dell’Oriente e mai più tornato. In una automobile trasformata in casa, rifugio e al tempo stesso prigione, Sergio trascorre la sua vita divenuta vuota e priva di significato, come orfana, senza di lui. Come in un puzzle a cui mancano i pezzi, così, man mano, riaffiorano i ricordi , trasfigurati da una mente ancora non in grado di affrontare la verità. Ma non è un vagare senza meta quello di questo taxi, da Piazza Plebiscito al mare, fin su nei vicoli dei quartieri storici. Mentre l’auto macina chilometri, accompagnata dall’incessante commento della radio, sule cui frequenze viene trasmessa "L’arte della felicità", Sergio comprende e accetta il proprio destino. Il suo e quello di tutta l’umanità. Non è mera retorica, filosofia a buon mercato, religione da discount, ma serena e profonda riflessione. Riflessione sull’esistenza, sulla fugacità della vita, sull’eterno ritorno, su ciò che siamo, siamo stati e saremo. Dalle parole di Alfredo, fratello, monaco buddista, cantore della vita e del suo equilibrio, a quelle della radio, ciniche e pessimiste, rovescio di una medaglia che non si limita a fissare i confini dell’oggi, ma guarda lontano.
Non ci si può che perdere e ritrovare in un labirinto così, di colori e parole, di uomini e pensieri, di metafore e esistenze. Non si può che sospirare, fermandosi a riflettere, con Sergio, alla vita che fugge, come un taxi che di fermata in fermata non sembra avere una destinazione. La paura, finanche il panico, possono assalire davanti a riflessioni tanto angoscianti, come se il Vesuvio, eruttando, cancellasse Napoli così come fece con Pompei. Ma il grigio del cielo non é che il fumo di un incendio, nè piovono lapilli e lava sulla terra. La paura, quella cieca e devastante, svanisce negli occhi sereni di Alfredo, nel nel volo di un piccione passato il temporale, nel desiderio di una sconosciuta avventrice del taxi di ricominciare a vivere, a suonare.
A metà fra la metafisica buddista e il racconto di una tragica esperienza L’Arte della felicità arriva dritta al cuore. Pennellata dopo pennellata, sulle ali di un gabbiano, anima defunta che ritorna a casa, il racconto avvolge e accarezza. Qualunque vita si sia vissuta, qualunque cicatrici si abbia sulla pelle, si sospira con Sergio, si piange con lui, ci si atterrisce e si sogna, rinascendo, forse, con rinnovata speranza.
( L’arte della felicità ); Regia : Alessandro Rak; sceneggiatura: Alessandro Rak, Luciano Stella ; montaggio: Marino Guarnieri; origine: Italia, 2013; durata: 84’