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L’Arte di Vincere

Pubblicato il 27 gennaio 2012 da Luca Lardieri
VOTO:


L'Arte di Vincere

E’ noto ormai da tempo che i film che raccontano di sport sono sempre tra i più ostici da realizzare. Ancor più difficile è riuscire a portare sullo schermo il realismo delle azioni di gioco e la passione che rende lo sport che si decide di portare sullo schermo, imprescindibile per quei milioni di tifosi che ogni volta si recano allo stadio o si attaccano allo schermo televisivo di casa propria per seguire quella passione. Non solo, ma Bennett Miller ha avuto con L’arte di vincere l’arduo compito di raccontare una storia vera, recente e ambientata nell’universo sportivo più seguito d’America, il Baseball. Tutte difficoltà che non solo sono state brillantemente superate ma che hanno avuto il merito di dare uno stimolo importante tanto al regista quanto agli sceneggiatori, per trascendere il gioco in se e parlare della nostra società, dei tempi che stiamo vivendo e della pigrizia che spesso ci porta a (non)superare i problemi nella maniera più semplice, posdatandoli e portandoli a divenire ancor più grandi e difficili da risolvere.
L’arte di vincere, infatti, è la vera storia del General Manager degli Oakland Athletics (Billy Beane), piccola squadra della Major League di Baseball, il quale stufo di perdere e di vedere trionfare sempre le squadre più ricche, agli inizi del 2000 decide di ingaggiare uno studioso di statistica, Peter Brand. Insieme studieranno ed ingaggeranno i giocatori esclusi a priori dalle altre squadre, perchè considerati troppo anziani o inadatti per stile, ruolo ecc, ma che in realtà potrebbero portare i punti necessari per andare a giocare le world series e concorrere per il titolo. Dopo alcune difficoltà iniziali, gli Oakland inanelleranno una serie di venti vittorie consecutive (record assoluto nella storia del baseball) che purtroppo non gli consentiranno di vincere il titolo ma altresì li porteranno a dimostrare che un baseball differente è possibile. Sarà proprio adottando il suo metodo di lavoro che alcuni anni più tardi i Boston Red Sox vinceranno il primo campionato della loro storia.
Un film importante, che parla di crisi, di valori e con la romantica idea che spesso si tende a scartare giocatori per preconcetti più che per motivi reali (concetto che si può traslare a qualsiasi altro tipo di lavoro). Beane prima di diventare un GM è stato un giocatore di baseball sfortunato, coperto d’oro agli inizi per poi essere prima accantonato e in seguito definitivamente scartato dopo aver dimostrato di non essere quel top player che gli osservatori speravano diventasse. Nel film i flashback della sua precedente vita sportiva vengono dosati e rivelati a poco a poco nei momenti più opportuni, senza voler scadere nel dramma facile e fine a se stesso, bensì tracciando in maniera ancor più completa un profilo psicologico vincente, di una persona che non si è lasciata abbattere e non si è voluta omologare all’idea comune e precostituita di come "doveva" essere svolto il suo mestiere. Alla fine del film, però, la realtà irrompe sempre e torna a porre un antico quesito: è davvero possibile cambiare le regole del gioco? è davvero possibile cambiare questa società?
Un Brad Pitt sontuoso alla guida della propria macchina, in uno strettissimo, muto campo finale, sembra volerci porre proprio questo enigma, mentre dallo stereo della macchina la voce di sua figlia intona un "you are such a loser dad"... sei un bel perdente papà!


CAST & CREDITS

(Money Ball); Regia: Bennet Miller; sceneggiatura: Stan Chervin, Steven Zaillian e Aaron Sorkin, tratta dal romanzo di Michael Lewis Moneyball: The Art of Winning an Unfair Game; fotografia: Wally Pfister; montaggio: Christopher Tellefsen; musiche: Mychael Danna; interpreti: Brad Pitt, Jonah Hill, Philip Seymour Hoffman, Robin Wright; produzione: Columbia Pictures; distribuzione: Warner Bros. Italia; origine: USA 2011; durata: 133’.


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