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L’artista

Pubblicato il 1 ottobre 2009 da Viviana Eramo


L'artista

Alla domanda se si possa immaginare oggi - nell’era della postmodernità, in cui il digitale detta le leggi della mobilità a tutti i costi e della “soggettiva immersiva” - un film di fiction costituito solamente di inquadrature fisse, Mariano Cohn e Gaston Duprat rispondono affermativamente. I due geniali autori, provenienti da una lunga storia di cortometraggi e documentari sperimentali, sbarcano nel mondo del lungometraggio di finzione con El artista. Il film - frutto dell’accordo siglato due anni fa tra Argentina e Italia, e riconosciuto come film d’interesse culturale da entrambe le commissioni nazionali - riesce nella non facile impresa di raccontare con intelligente ironia il mondo odierno dell’arte, includendovi la questione della critica e la concezione dell’artista in un panorama culturale come quello della contemporaneità, nel quale la definizione di autorialità, autore e l’ attribuzione stessa dell’opera d’arte vanno sempre più connotandosi di un alto grado di problematicità.

La storia di Jorge, infermiere senza interessi e passioni, che scopre il talento nel disegno di un suo anziano assistito e si appropria delle opere spacciandole per sue - attirando così l’attenzione del circuito delle gallerie d’arte - diventa, nell’ingegnosa e minimalista messa in scena degli autori, terreno fertile per una sarcastica messa alla berlina di critica e mercato d’arte.

In assenza del ben che minimo movimento di macchina, l’inquadratura torna alle sue forme antesignane, come la fotografia, il teatro, l’opera d’arte pittorica. Se la mobilità del dispositivo è negata, allora sono i soggetti del profilmico gli unici a spostarsi, e l’inquadratura si ritrova ad assolvere a quel potere altissimo di sintesi che è proprio dell’immagine. Se El artista non è teatro filmato, nonostante sia girato prevalentemente in interni, è perché l’attenzione alla costruzione dell’inquadratura è sempre profondamente cinematografica. Mantenendo una profondità di campo notevolissima, i due registi, grazie al lavoro del direttore della fotografia, riescono a mantenere nitidi almeno tre piani all’interno dell’inquadratura, affidando la narrazione proprio ai rapporti che questi intrattengono tra di loro. Le figure in primo piano spesso sono tagliate, in parte per permettere la visibilità di ciò che succede dietro di esse, senza tuttavia abiurare mai ad una grande eleganza compositiva e alla piena leggibilità dell’immagine. Evidente l’autoriflessività del film che compone le sue inquadrature come dei quadri e utilizza al suo interno cornici naturali e composizioni di linee rette e geometriche, con una cura maniacale per gli spazi e le forme. E per assurdo, le inquadrature così composte sono gli unici quadri che ci è dato vedere, visto che nemmeno in un’occasione la mdp riprende i tanto celebrati Dibujos di Romano. In pieno rispetto della sospensione di quel giudizio critico (cioè della critica) che il film ridicolizza, i registi ci mostrano la prassi del processo creativo, ma mai il risultato, al massimo è lo spettatore a venir scrutato - dai personaggi che guardano quasi in macchina - prendendo il posto dell’opera su un tavolo o affissa alla parete di un museo.

Chi decide cosa è arte e cosa non lo può essere ? Da quando Duchamp firmò l’orinatoio, è sempre più difficile dirlo e la strampalata fortuna che ottiene Jorge presentando i disegni di un anziano invalido che non parla più ma si esprime solo con i suoi schizzii, ripropone il quesito. Il mutismo che caratterizza Jorge quando viene intervistato a proposito dei suoi disegni è lo stesso che caratterizza il vecchio, segno della vacuità della ricerca di risposte a proposito di una produzione artistica fuori da essa stessa. Nell’epoca della riproducibilità tecnica, Jorge non sa e non può copiare/imitare i disegni di Romano, risultato ancora una volta di un meccanismo tanto incosciente quanto non ripetibile, tantomeno esplicabile. Jorge ha il desiderio infantile di essere riconosciuto come artista, ma senza malizia nè mire di sfruttamento nei confronti del povero invalido. E’ come se il personaggio fosse travolto da un destino che egli stesso ha innescato e sul quale non riesce a mantenere il controllo, pur continuando a sentirsi solo come all’inizio della sua storia, quando la dipartita della madre lo lascia nel silenzio di quella casa con le pareti coperte da un’orrenda carta da parati.


CAST & CREDITS

(El artista); Regia: Mariano Cohn, Gastón Duprat; sceneggiatura: Andrés Duprat; fotografia: Ricardo Monteoliva; montaggio: Santiago Ricco; musica: Diego Bliffeld; interpreti: Sergio Pángaro (Jorge Ramírez), Alberto Laiseca (Romano), Enrique Gagliese (Losada), Ana Laura Loza (Ana), Marcello Prayer (segretario della galleria italiana), Andres Duprat (Emiliano); produzione: Aleph Media in coproduzione con Costa Films, Barter, in associazione con Istituto Luce; distribuzione: Istituto Luce; origine: Argentina, Italia, 2008; durata: 95’


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