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L’AVVOCATO DE GREGORIO

Pubblicato il 11 marzo 2003 da Giovanna Quercia


L'AVVOCATO DE GREGORIO

Vedere L’avvocato De Gregorio è un’esperienza spiazzante. Come in una sorta di macchina del tempo si entra in un cinema e si viene catapultati in una rappresentazione del mondo (la Napoli dei bassifondi) e in un modo di fare cinema che vengono dritti dagli anni ’70. Non si tratta però di un’operazione nostalgica, né di un gioco postmoderno di ricombinazione di frattaglie del passato, né della citazione di un genere. L’impressione, semplicemente, è che per Pasquale Squitieri il tempo si sia fermato all’epoca dell’effetto sgranato e dei colori saturi. Già la sequenza iniziale, che alterna panoramiche sulle case fatiscenti di Napoli con primi piani di volti sfatti e sudati mentre un flusso indistinto di voci e di urla scorre sulla pista sonora, è un buon compendio dell’estetica di riferimento del film. Uno stile “sporco”, volutamente sgrammaticato ma sensazionalistico, a tinte forti. Siamo a metà strada tra il cinema sociale di Francesco Rosi e uno spaghetti-thriller. A basso costo naturalmente. D’altronde anche il vecchio avvocato protagonista è fermo nel tempo. Caduto in disgrazia per un’accusa di truffa 30 anni prima, si limita a sopravvivere scendendo a patti con la malavita locale e sfruttando altri disgraziati come lui. Vive in una lurida stanza di un basso napoletano, il suo degrado fisico è pari a quello dell’ambiente in cui vive. Così come il compiacimento e la retorica con cui il regista filma la sua città fa parte dell’immagine iperbarocca e un po’ laida che di essa vuol dare. Ma “a Napoli tutto è possibile”, sentenzia l’avvocato De Gregorio - un Albertazzi che a tratti sembra ispirato all’ultimo Gianfranco Funari - e accade così che da uno stato di profonda abiezione fiorisca la forza per un riscatto, personale e collettivo. Chi conosce la miseria può comprendere le storie miserabili degli altri; per questo l’avvocato De Gregorio si ritrova a combattere eroicamente contro il ricatto che lega indissolubilmente gli operai sottopagati agli affaristi malavitosi che li sfruttano. E così il “destrorso” Squitieri si ritrova a girare una storia di denuncia sullo sfruttamento del lavoro, ad ambientarla in un Sud impermeabile a qualunque segno di modernità e di globalizzazione, e ad usare quello stile ruvido e artigianale che è stato tipico di tanto cinema “di sinistra”. Indubbiamente, L’avvocato De Gregorio è un film che può destare irritazione per la raffigurazione carica e sfacciatamente stereotipata dell’anima nera napoletana, tuttavia non si può non apprezzare la noncuranza del ridicolo (sempre indice di un pensiero libero) di un cineasta che ha il coraggio di concludere il film con Albertazzi scarmigliato che urla:“DIGNITÀ!”

[marzo 2003]

Regia: Pasquale Squitieri. Sceneggiatura: Pasquale Squitieri. Fotografia: Giuseppe Tinelli. Montaggio: Gianluca Quartu. Interpreti: Giorgio Albertazzi, Ciro Capano, Anna Tognetti. Produzione: Cosmopoli Corporation in collaborazione con Raicinema. Origine: Italia 2002. Distribuzione: 01 distribuzione. Web info: www.raicinema.it

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