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L’INCUBO DI DARWIN

Pubblicato il 17 marzo 2006 da Matteo Botrugno


L'INCUBO DI DARWIN

Questa volta non ci accaniremo contro la politica estera americana. Le nostre considerazioni verteranno piuttosto su alcune discutibili operazioni economiche del nostro caro vecchio continente. Mentre ci troviamo costretti a subire il lavaggio del cervello sui tanto decantati valori europei, che tutti dovremmo condividere e diffondere nel mondo intero, questo documentario ci invita a riflettere su ciò che esportiamo in Africa, e in particolar modo in Tanzania. Si tratta di tutto, fuorché di valori.
All’inizio degli anni 60’ è stato introdotto nel lago Vittoria il persico del Nilo, predatore che in meno di quarant’anni ne ha distrutto l’ecosistema. Cinquecento tonnellate al giorno di questo pesce vengono importate nell’Unione Europea e in Russia; i pregiati filetti vengono puliti e lavorati in moderne fabbriche situate nelle città nei pressi del lago, e quotidianamente vengono caricati su aerei da trasporto europei. Che vantaggio ne traggono le città e i villaggi della Tanzania? Ovviamente nessuno. Sempre che non si giudichino vantaggi la morte precoce di pescatori, la distruzione di un intero e prezioso ecosistema, o bambini che si picchiano per una manciata di riso. Da questo ne consegue un impressionante aumento della prostituzione (e relativa diffusione dell’HIV), e una serie di occupazioni lavorative al limite del bestiale. Tutto ciò in cambio di cosa? Di armi, naturalmente. Gli aerei europei portano enormi quantità di armi in alcuni paesi africani in cui sono in corso delle guerre civili (Angola, Ruanda, Sudan, tanto per citarne qualcuno), per poi ripartire verso altri come la Tanzania per andare a ritirare il ‘pagamento’, sotto forma di pesce, frutta e quant’altro.
Sauper ci guida per le strade di un paese allo sbando, in cui non c’è alcuna carestia, ma piuttosto la mancanza di soldi per comprare il cibo. Con la sua macchina da presa il regista austriaco ci mostra un uomo che con arco e frecce avvelenate difende una fabbrica in cui viene lavorato il persico del Nilo, o una donna che, coi piedi fra i vermi, ordina e sistema le carcasse dei pesci (resti della lavorazione), per poi friggerne le teste. Ma probabilmente ciò che fa più accapponare la pelle, è l’atteggiamento di alcuni industriali europei che, nell’esaltare la crescita delle fabbriche tanzanesi, in quanto ad igiene e ad affidabilità, sembrano non accorgersi di tutti i danni che stanno causando.
L’Europa ha imposto a paesi come la Tanzania una religione, quella cristiano-cattolica, che non solo ostacola una mancata diffusione di misure contraccettive, soprattutto per quanto riguarderebbe la prevenzione, dato l’elevato numero di donne dedite alla prostituzione, ma che sembra quasi una paradossale presa in giro, specialmente nella sequenza in cui un pastore porta il messaggio del Vangelo in un villaggio poverissimo, mostrando un video rappresentante Gesù, che, con un miracolo, moltiplica i pesci nelle reti dei pescatori. Il problema sta nel fatto che in Tanzania di pesci ce ne sono molti (o meglio: al momento ne sta rimanendo solo uno, ma comunque in grande quantità), solo che gli abitanti di città e villaggi che si affacciano sul lago Vittoria non possono usufruirne, per colpa di un meccanismo economico che va al di là della loro comprensione. Tolto il predatore del Nilo, cosa rimane alla gente del luogo? Carcasse, avanzi europei.
Il documentario è costruito in maniera ineccepibile: volutamente non vengono fatti nomi, poiché siamo obbligati a vedere con gli occhi di chi vive nei pressi del lago, ad ascoltare (come i tanzanesi stessi) le poche notizie reperibili a proposito della loro stessa situazione economica. Siamo costretti a tollerare freddi primi piani di bambini che sniffano colla, di prostitute che piangono la loro amica uccisa da un occidentale e consapevoli di dover continuare ad accettare il loro ‘lavoro’ di intrattenitrici per piloti ucraini, di una donna il cui occhio è stato bruciato dall’ammoniaca utilizzata per rallentare la putrefazione delle teste dei pesci. Solo un nome ricorre sempre: Unione Europea.
Qual è l’incubo di Darwin allora? Solo l’evoluzione forzata della fauna del lago Vittoria? Niente affatto. Un bianco intervistato nel film sostiene che l’evoluzionismo darwiniano è una teoria che subisce una modificazione notevole: chi sia la razza più forte non lo stabilisce più la natura, ma le banche; facile quindi comprendere chi sia al momento il più... ’evoluto’.
A vincere il premio Oscar è però La marcia dei pinguini, film sicuramente affascinante, ma privo dell’importanza e della profonda critica che pervade lavoro di Sauper (vincitore comunque di numerosi premi tra cui quello delle Giornate degli Autori a Venezia 61). Ma in America si preferisce non vedere. Anche noi europei preferiremmo non aver mai visto. Ma la forza di questo tipo di cinema è talmente grande che oltre a farci aprire gli occhi sul sistema di cui facciamo parte e su cui si basa una buona fetta della nostra economia, nonchè sull’effettiva funzione degli aiuti umanitari (e non ci riferiamo ad associazioni non governative), riesce anche ad intaccare il nostro ‘animo europeo’ con uno sgradevole, insostenibile senso di vergogna.

(Darwin’s nightmare) Regia, soggetto e fotografia: Hubert Sauper; montaggio: Denise Vindevogel; produzione: Mille eu Une Productions, Paris Coop 99 Film Produktions, Vienna Saga Film, Arte, WDR, VPRO, YLE 2, CNC, Filmfonds; distribuzione: Mikado; origine: Austria, Belgio, Francia; durata: 107’; web info: sito ufficiale.

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