L’ODORE DEL SANGUE
Nel vociare immediatamente successivo alla proiezione per la stampa dell’Odore del sangue, in quei commenti a caldo che spesso si fanno per scrollare di dosso un’emozione disturbante, forse inaspettata, alcuni aggettivi si distinguevano ricorrenti: “anacronistico”, “superato”... Sgombriamo subito il campo: è vero, L’odore del sangue è un film prepotentemente inattuale, ma in ciò appunto risiede il suo valore. Anche i detrattori di Eyes Wide Shut, con cui il film di Martone divide oltre al tema dell’amore coniugale un insistente presagio di morte, hanno sempre parlato di anacronismo e di ridicolo involontario. Gli stessi argomenti, possiamo scommetterci, saranno usati contro L’odore del sangue ma poco importa, sono il timbro delle opere vive e controverse. Chiunque si avventuri con coraggio nel terreno oscuro delle pulsioni che soggiacciono ai rapporti amorosi, nello scarto a volte fatale fra sesso e sentimenti, non può che farlo con terribile serietà. Il rischio del ridicolo è sempre in agguato, in questi casi, ma è l’unica via. Mario Martone, con la complicità di un trio di attori decisamente all’altezza, ha scelto evidentemente di accettare fino in fondo la sfida lanciata dalla sincerità quasi imbarazzante del romanzo-testamento di Goffredo Parise (scritto nel 1979, è emerso postumo nel 1997) e ne è uscito un film forte, a tratti quasi insostenibile, ma lucido e vero. Nel senso che la storia estrema di amore e autodistruzione, di sadismo e di masochismo, interpretata da Placido e Ardant possiede l’esemplarità di ogni tragedia che si rispetti e i suoi personaggi non sono altro che incarnazioni di un aspetto generale della natura umana. Chi più chi meno, ci riguarda tutti. Mentre si tradiscono vicendevolmente con amanti più giovani, i coniugi cinquantenni protagonisti si raccontano tutto, fino al dettaglio sessuale-anatomico, cercando disperati di sublimare nella Parola le violente pulsioni da cui sono invece trascinati inesorabilmente verso un destino tragico. Ciò che interessa, nel film come nel libro bello e impetuoso recentemente rieditato, è proprio il valore ambiguo e fluttuante delle parole, strumenti che i due amanti - ché tali sono a dispetto del matrimonio - usano per dire e per nascondere, per ferirsi e per placarsi, senza soluzione di continuità. I densi dialoghi sono gli stessi del romanzo, Martone non ha fatto altro che trasferirli fedelmente dalle pagine di Parise alle voci di Michele Placido e Fanny Ardant e l’operazione è riuscita, credibile. Grazie a degli attori magnificamente in parte, è indubbio, soprattutto la Ardant (il personaggio di Silvia sembra davvero scritto per lei) ma anche per una regia sapientemente ellittica che evita con cura di fare l’”adattamento cinematografico”, di trasformare in immagini queste parole troppo scandalosamente sincere per essere vere, finendo per restituirne intatto il mistero. Certo nell’Odore del sangue qualche scivolata c’è, soprattutto là dove si riecheggiano atmosfere dell’antonioniana trilogia sul mal di vivere (la scena sui lastroni rocciosi in Croazia). Inoltre la scelta dell’ambientazione contemporanea, laddove il tema della coppia aperta e l’utopia dell’amore senza esclusive rimandano agli anni Settanta del romanzo, appare a tratti discutibile. Ma si tratta di piccole stonature, di aspetti secondari che non inficiano la materia profonda, senza tempo, cui si allude. In effetti forse è proprio questa volontà di andare fino in fondo, questa gravità ad essere anacronistica, a risultare fuori moda. Ma a noi, questa provenienza incerta, questa lontananza dall’attualità sembra piuttosto un regalo.
[aprile 2004]
regia: Mario Martone, sceneggiatura: Mario Martone dall’omonimo libro di Goffredo Parise, fotografia: Cesare Accetta, montaggio: Jacopo Quadri, interpreti: Michele Placido, Fanny Ardant, Giovanna Giuliani, Sergio Tramonti produzione: Biancafilm, Mikado, Arcapix, origine: Italia 2003, distribuzione: Mikado