LA CASA DEL DIAVOLO

Rob Zombie, già acclamato cantante della rock band White Zombie e, in seguito allo scioglimento del gruppo, autore di diversi brani di successo (e spesso colonne sonore di film come Matrix e Daredevil), torna dietro la macchina da presa per dirigere il sequel del fortunato La casa dei 1000 corpi. Se in questo primo lungometraggio la messa in scena era fortemente viziata dal tipico errore di un regista esordiente, cioè quello di mettere troppa carne al fuoco, La casa del Diavolo si presenta invece come un lavoro anomalo, sia per quanto riguarda il senso stesso della serialità tipica del cinema horror, sia per quanto riguarda la vicenda raccontata. Spariscono gli elementi soprannaturali, cambia l’approccio registico che risente molto meno della tecnica del videoclip (Rob Zombie ne ha girati molti prima di approdare nel mondo del cinema); sparisce la sottile distinzione che separa il bene dal male. Restano solo violenza, sadismo e vendetta.
La terribile famiglia-killer non pratica più riti satanici. Si ritrova subito in fuga dall’inizio del film dopo uno scontro a fuoco con gli uomini dello sceriffo Altamont, sbirro in cerca di vendetta dopo l’uccisione del fratello nel primo episodio della saga. Fino a metà film si avverte un continuo senso di deja-vu: la fuga, inizialmente a due, sembra ripresa da Natural born killers; la casa delle torture è la brutta copia dell’abitazione dei macellai di Non aprite quella porta; Captain Spaulding e Otis ricordano rispettivamente il clown di It e Bob di Twin Peaks, più barbuti e più invecchiati; una scena di Funny Games di Haneke (la moglie fatta spogliare davanti al marito) sembra essere stata addirittura scippata. Il tutto è farcito dagli ‘sculettamenti’ della signora Zombie, bella quanto crudele.
La Casa del Diavolo è un lavoro sicuramente debitore di tanti capisaldi del genere horror e soffre di una narrazione fin troppo lineare e a volte prevedibile. Perde inoltre alcuni dei pochi spunti interessanti offerti da La casa dei 1000 corpi, tra cui la sottile critica ad una società americana teledipendente. Ma il nuovo lavoro di Rob Zombie non è certo da buttar via. Da un horror pieno di assurdità senza capo ne coda, si passa ad un film più compatto, con un buon ritmo e con un uso di begli effetti visivi usati in maniera diffusa ma molto meno indiscriminata. La musica diventa country e blues, accentuando ancor di più il desiderio di contaminare il genere cui il regista fa riferimento, cioè l’horror, con elementi del road movie. Non manca neanche la ballad romantica che stride fortemente con il massacro cui si assiste nel finale.
Rispetto al suo predecessore, La casa del Diavolo lascia trasparire un lavoro molto più accurato in fase di sceneggiatura. Tra un massacro e l’altro, si assiste ad una serie di siparietti esilaranti tra i vari personaggi, una sorta di tutti contro tutti. Geniale la discussione tra lo sceriffo e un critico cinematografico chiamato per aiutare la polizia a risolvere il caso (i membri degli assassini definiti i ‘reietti del Diavolo’ adottano nomi fittizi ripresi da personaggi interpretati da Groucho Marx). Questo episodio in particolare la dice lunga sia sull’assoluto disinteresse nel conferire al film l’elemento dell’investigazione, subito sostituito con quello della brutale vendetta, sia su quanto Rob Zombie non veda di buon occhio la critica cinematografica, mostrandone con una divertente caricatura il suo lato più irritante.
Il regista-cantante fa un passo avanti sia in fase di regia che in fase di scrittura. La storia, sicuramente poco originale, è comunque ben resa da personaggi sopra le righe, tra cui spicca il clown interpretato da Sig Haid. Non c’è positività in questo lavoro, non si avverte neanche nelle disperate preghiere dei malcapitati che si imbattono non solo nei membri della famiglia, ma anche nello sceriffo, il quale, inizialmente ferreo garante della legge, diventa più feroce e sadico dei criminali che insegue, divenendo il simbolo di un’America totalmente priva di valori da ‘esportare’. Per Rob Zombie non c’è Dio che possa salvare né una giustizia cui ci si possa appellare (se non quella personale), né tanto meno un ‘eroe americano’. Fortunatamente non ci sarà neanche un ulteriore sequel. Sarebbe dannoso protrarre troppo a lungo una storia tanto esile, ma allo stesso tempo così divertente nel suo mix di violenza e ironia, omaggio riuscito all’horror anni ‘80.
(The Devil’s rejects) Regia, soggetto e sceneggiatura: Rob Zombie; fotografia: Phil Parmet; montaggio: Gelenn Garland; musica: Tyler Bates; scenografia: Anthony Tremblay; costumi: Yasmine Abraham; Effetti speciali e trucco: Wayne Toth; supervisore effetti speciali: Robert Kurtzman; interpreti: Sid Haig (Captain Spaulding), Bill Moseley (Otis), Sheri Moon Zombie (Baby), Ken Foree (Charlee Altamont), Matthew McGrory (Tiny), Lesile Easterbrook (Mother Firefly); produzione: Lions Gate Films, Entache Entertainment, Cinerenta Medienbeteilingugs KG, Creep Entertainment International, Devil’s Rejects INC., Firm Films; distribuzione: Eagle Pictures; origine: USA; durata: 101’; web info: sito ufficiale.
