LA CENA PER FARLI CONOSCERE

Dicesi avatismo quella capacità di fondere storie di persone in un corposo amalgamato morbido, gustoso e saporito. La mescola va fatta con ingredienti cinematografici genuini e freschi, saltati in padella senza eccessiva bollitura, conditi con ortaggi di stagione e musica da camera. La bravura del cuoco si vede dalle proporzioni, dagli odori impiegati in cottura e da qualche intuizione a sorpresa. Ottimo, ad esempio, è il “ricciarello alla pugliese” efficacemente proposto per La seconda notte di Nozze. L’avatismo è conosciuto e cavalcato da molto cinema italiano: perché di una commedia ci si fida sempre, nel senso che il pubblico la capisce e la apprezza con facilità: “Io ho in mente una bella commedia, è sempre il tempo di una bella commedia”, diceva dolorosamente Moretti, qualche mese fa, nel suo Caimano triste. Per di più le annuali proposte di Pupi Avati sono forme semi comiche dalla finestra aperta: stili del narrare medio dentro cui si può convogliare molto e da cui si può far uscire altrettanto. In assenza di un cinema dalle idee chiare, l’avatismo può salvare dall’indifferenza del pubblico, dalle strade perdute perché scelte senza convinzione, senza mappa o senza tempo (i giorni nostri di immersione nelle cose senza distacco critico). L’avatismo non è Pupi Avati, ma una ricetta che il regista bolognese ha saputo cucinare con ottima capacità, tanto da farne la sua specialità e da divenire un punto di riferimento per certo, abbondante, cinema nostrano. L’applicazione di questo “segreto” fa la differenza tra il cinema italiano contemporaneo medio, insopportabile, e quello della stessa estrazione ma godibile. Pupi Avati non fa mai male e si digerisce facilmente, perché parla, con un cinema che fa da tantissimi anni (e che gli è proprio e congeniale), di sentimenti ed esseri umani, senza voler insegnare niente a nessuno.
Il cinema degli Avati nasce, e sopravvive, per fornire emozioni riconoscibili alle masse ed apprezzabili, in un qualche caso non sporadico, anche più su. Il regista arreda le sue vicende con una grande attenzione al mondo dei giovani, affettiva, personale e molto poco analitica. Ne canta, prosaicamente, la bellezza intrinseca e li sceglie splendidi ed umani. Li contrappone, per purezza, alle generazioni precedenti, senza voler differenziarle storicamente ma per scrivere l’inno alla gioventù di ogni luogo e tempo: paragona e contrappone la stagione del cuore e quella del freddo, quella degli amori a quella dei conti con se stessi, che arrivano troppo tardi per poter fare qualcosa di catartico. C’è, in Pupi Avati, un certo spirito autobiografico da prendere con le molle: molto dichiarato dall’autore ma legato più al suo immaginario interiore che al suo universo materiale.
La cena per farli conoscere sfrutta tutto l’avatismo e ne esce molto bene, perché si ride e ci si ammorbidisce l’anima. A venirne pure graffiati ed invitati alla riflessione, si sarebbe ragionato di commedia all’italiana, ma nell’avatismo di Avati non c’è quasi mai posto per l’indagine sociale. Stavolta, però, in maniera anche grossolana, un posticino piccolo c’è.
Il film è la storia di quattro donne e di un bestione, anzi di quattro creature meravigliose e di un personaggio, molto costruito, che fa più parte dell’autore (e del paese) che di se stesso. Le donne sono fotografate da un obiettivo attento e scaltro che le mostra disarmanti e seducenti. Brune, rosse o bionde che siano, sono il massimo che Avati potesse fare cercando di imitare Pedro Almodovar. E’ certo che non lo abbia voluto imitare, ma l’esempio serve a far capire cosa queste donne facciano nel film: sono sole, valorose e forti. Fanno innamorare il maschio e colgono il favore della femmina. Avati si mostra durissimo con gli uomini e particolarmente generoso con le donne. Ines Sastre, Vanessa Incontrada, Violante Placido e Francesca Neri sono interpreti lodevoli di personaggi non banali, leggeri ma non piatti. “Donne magiche donne che lavorano”, con i collant e l’eleganza, con dei magnifici capelli ed un sorriso serio.
Di fronte e in mezzo a loro quel pizzico di sociale di cui sopra, dentro l’interpretazione, molto carica, del quasi feticcio Abatantuono. Il suo personaggio si chiama Sandro Lanza ed è stato imbarcato nelle stive del grande cinema italiano negli anni sessanta e settanta. Non ce l’ha mai fatta a salire sul pontile e si è sempre chiesto perché. Un bel giorno, però, forse per smettere di pensare, ha iniziato a far le soap e i giornali scandalistici hanno fatto il resto. Ora è in sovrappasso ed ha tentato il suicidio perché l’ipotesi di partecipare ad un reality nelle fogne milanesi si è rivelata una scelta a dir poco sbagliata. Insomma è una cosa bruttarella questo attoraccio depresso. Ma con lui Avati ci racconta certi personaggi che probabilmente ha conosciuto bene e che in certo senso arrivano anche dentro di lui. Qui sta la piccola analisi sociale del film, in questo evidenziare il dislivello tra oggi e ieri, anche per un normale mestierante senza talento e nobiltà.
Resta da capire quanto incida la gioventù perduta nell’economia di questo ragionamento e quanto, invece, Avati senta maledettamente lontano quel periodo in cui Germi girava Divorzio all’italiana e il cinema aveva un impatto enorme sul paese. Non lo sapremo mai e preferiamo goderci un’altra storia, ben scritta e recitata, di persone e sentimenti, raccontata con capacità e mestiere. Preferiamo concentrarci ancora una volta sul bisogno di amore degli umani e sul vento freddo che prima o poi caratterizza tutte le solitudini. Siamo invitati a rilassarci sugli arredamenti e gli abiti, sui dialoghi per nulla patetici ma anzi frizzanti e verosimili. Sui rapporti complicati, di sangue e di cuore. Non ci aspettavamo che questo, e questo, in buona forma, abbiamo ritrovato. Ci siamo presi i tanti omaggi al bel cinema di ieri come un pensierino gentile, come una bomboniera da tenere a casa per ricordo. L’importante è sapere quello che si vuole, e ciò che gli altri sono in grado di darci. Dentro il cinema di Avati, questo ci è sembrato un film molto godibile e profumato.
Febbraio 2007
Regia: Pupi Avati, Sceneggiatura: Pupi Avati, Montaggio: Amedeo Salfa, Fotografia: Pasquale Rachini, Musica: Riz Ortolani, Scenografia: Giuliano Pannuti, Interpreti: Diego Abatantuono, Inés Sastre, Violante Placido, Vanessa Incontrada, Francesca Neri, fabrizio Ferrari, Produzione: Antonio Avati con Medusa e Sky, Distribuzione: Medusa, Durata 137’, Origine: Italia, 2007 sito ufficiale
