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LA COMMEDIA DEL POTERE

Pubblicato il 7 ottobre 2006 da Giampiero Francesca


LA COMMEDIA DEL POTERE

Come si suol dire in questi casi ogni riferimento a fatti o persone è puramente casuale. Sarà, ma pare quantomeno singolare la coincidenza che porta Claude Chabrol, maestro della nouvelle vauge da sempre sferzante verso le bassezze della borghesia, a confrontarsi con un caso di collusione fra alta finanza e politica, ancor più se si considera il contesto storico in cui questo avviene. Fondi neri, finanziamenti illeciti, tangenti di vario ordine e grado hanno invaso le prime pagine dei quotidiani di mezz’occidente e l’occhio attento di chi a queste cose non ha mai voluto fare l’abitudine non poteva rimanerne estraneo. Caustico con il potere e con chi lo detiene Chabrol utilizza la forma a lui tanto cara dell’inchiesta per mostrare ancora una volta il lato oscuro dei potenti. L’intento del regista non è quello di elevarsi a censore ma di porsi come umile testimone dei fatti, al limite di studiarli nelle vesti di un attento sociologo. Da qui la necessità di muoversi attraverso la vicenda restano sempre aderente ai fatti, nei lunghi ed evasivi interrogatori, nelle scarne e improvvisate perquisizioni distanti anni luce dalle roboanti investigazioni dei procedural americani. Chabrol sceglie la strada della verosimiglianza, pedinando i suoi protagonisti anche nelle azioni più banali, ponendo l’accento sui timori, le sofferenze, le difficoltà che un caso come questo provoca nell’indagato e nell’indagatore. Il dramma di Michel Humeau, ex direttore di una società d’intermediazione finanziaria, viso attraverso gli occhi del giudice Jeanne Charmant-Killman è una parabola sulla consapevolezza e sulla responsabilità, elementi già centrali nella poetica dell’autore francese (Landru, 1963). Consapevolezza e responsabilità che costano caro, incidono sulla vita privata, sottraggono tempo e speranze, possibilità e prospettive; le esistenze stesse di Humeau e Charmant-Killman appaiono quasi prive di futuro. A far da contraltare, così come accade spesso nella cinematografia di Chabrol, se da un lato c’è chi si affanna per scrupolo e coscienza, dall’altro c’è chi altera la verità, spudoratamente. Le bugie, le ipocrisie, così come nel Colore della menzogna (1999), giocano un ruolo fondamentale coprendo, dietro una facciata di immacolata perfezione un intimo marcio. Quale paradigma migliore della vita stessa di Humeau, presentatoci come marito, capo, uomo modello e trasformato ben presto in un disonesto, colluso e truffatore. In questa commedia del potere ogni attante recita la sua parte a memoria. Non c’è, neanche nei gangli vitali, nemmeno nella giustizia, nessuno che si sottragga a questa regola.
Nel mettere in scena questa vicenda però, rincorrendo proprio quella logica del vero, Chabrol finisce per non trasmettere pathos, tensione emotiva. La prigione, sia quella fisica delle galere che quella metaforica di un vuoto monolocale, gli uffici, il palazzo di giustizia rimangono pezzi di un enigma giudiziario troppo vicini ad un mero fatto di cronaca per poter emozionare. Anche il rapporto con la sua musa Isabelle Huppert appare meno complice e affiatato paragonato a precedenti quali Madame Bovary (1991) o Il buio nella mente (1995). Ciò non di meno la presenza di una delle migliori attrici del panorama mondiale restituisce una profondità al personaggio di Charmant-Killman al di fuori del comune. Così com’è fuor di dubbio che, anche in una pellicola fra le meno riuscite, la mano di un maestro come Chabrol si senta, e ben ferma. L’autore mette in scena un racconto fin troppo costruito dal punto di vista narrativo ma dalla forma rigorosa e puntuale. Ancora una volta è vero ciò che scrive Viganò, “la complessità del cinema di Chabrol non sta in ciò che racconta ma nel modo in cui mette in scena anche la situazione più quotidiana e banale”.

(L’Ivresse du pouvoir) Regia: Claude Chabrol; sceneggiatura: Claude Chabrol, Odile Barski; fotografia: Eduardo Serra; montaggio: Monique Fardoulis; musica: Matthieu Chabrol; scenografia: Françoise Benoît-Fresco; costumi: Sandrine Bernard, Mic Cheminal; interpreti: Isabelle Huppert (Jeanne Charmant-Killman), François Berléand (Michel Humeau); origine: Francia 2005; durata: 110’

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