X

Su questo sito utilizziamo cookie tecnici e, previo tuo consenso, cookie di profilazione, nostri e di terze parti, per proporti pubblicit‡ in linea con le tue preferenze. Se vuoi saperne di pi˘ o prestare il consenso solo ad alcuni utilizzi clicca qui. Chiudendo questo banner, invece, presti il consenso allíuso di tutti i cookie



La duchessa di Langeais

Pubblicato il 12 luglio 2007 da Fabiana Proietti


La duchessa di Langeais

Balzac e la Nouvelle Vague. Un’affinità elettiva che dura da mezzo secolo: ‘Se si vogliono fare dei film, bisogna leggere due scrittori: Balzac e Dostojevski’ sentenziava Rohmer nei primi anni 50; mentre nel ’59 è François Truffaut a dichiarare la propria devozione al romanziere parigino, autore della Comedie Humaine, nei 400 Colpi, con il ‘plagio’ di un suo romanzo perpetrato dal piccolo Antoine Doinel, irresistibilmente catturato dalla maestria della sua prosa.
L’amore di Truffaut per la letteratura di Honoré de Balzac è cosa nota ma è Jacques Rivette ad adattare, finalmente, uno dei suoi racconti, La duchessa di Langeais, per il cinema.
Rivette dà vita al melodramma di un amore funesto, mai fisico e pertanto sublimato fino all’ossessione, vissuto e sospirato all’interno dei claustrofobici saloni dell’aristocrazia parigina sotto la Restaurazione, quando passato il terrore per la ‘hache’, la ghigliottina, questa si ritrova a godere dei propri frivoli privilegi.
La ricostruzione scenografica è al contempo fedele e straniante: come ne La nobildonna e il duca di Rohmer i pavimenti scricchiolanti, un sonoro in presa diretta che restituisce i rumori d’ambiente, ricordano che dopotutto è sempre una finzione, un récit. E che è nei sospiri anelanti dei due amanti platonici che si trova la verità, nelle loro inconciliabili posizioni, nelle convenzioni sociali e nelle confessioni religiose che li dividono sin dall’inizio.
La pellicola si dimostra preziosa per la composizione delle inquadrature, che alternano la luminosità dei saloni da ballo, ai toni bruni del boudoir della duchessa, dell’appartamento di Montriveau e, infine, del convento dove cinque anni dopo la donna si è rinchiusa per sfuggire alla nefasta passione.
I momenti di intimità tra i protagonisti, Antoinette di Langeais (Jeanne Balibar) e Armand de Montriveau (Guillaume Depardieu), sono sempre consumati in un’oscurità rischiarata soltanto dalla luce dei candelabri, che tagliano con effetti chiaroscurali i volti degli amanti.
Nella ricerca di un rapporto fecondo con la letteratura Rivette trova soprattutto la pittura, che non si risolve nella consueta creazione di tableaux vivants – come accadeva nelle taverne ricreate da Forman per il suo Goya’s Ghost – ma interagisce con gli elementi più specifici del linguaggio cinematografico per restituire le emozioni e la statura dei suoi personaggi. Rivette realizza così sequenze di grande sensualità, sfruttando l’alchimia erotica degli interpreti in una continua frustrazione del desiderio che finisce per coinvolgere anche lo spettatore.

Le convenzioni sociali, i codici morali e gli intrighi raccontati da Balzac nell’altro grande affresco letterario che è L’Historie des treize, emergono soprattutto grazie alla navigata esperienza degli attori, la principessa di Balumont-Cahuvry di Bulle Ogier e il Visdomino di Michel Piccoli; ma La duchessa di Langeais incontra la sua essenza nella narrazione di questa passione lacerante e fatale, risultando molto più vicina al truffautiano La signora della porta accanto che non allo storico – ma assai più politico – La nobildonna e il duca.
Un tratto assimila comunque le due opere: un programmatico distacco dall’attualità, dalle contingenze politiche e sociali che porta questi autori a rifugiarsi nella Storia – oltre a questo Ne touchez pas la hache, i rohmeriani La nobildonna e il duca e Triple agent, ambientato negli anni del Fronte Popolare - o nel surreale - Storia di Marie e Julien dello stesso Rivette ma anche Cuori di Resnais, così avulso da ogni riferimento all’attualità, incorniciato da una neve purificatrice.
La contemporaneità sembra aver perso il suo fascino agli occhi dei giovani turchi di un tempo. Aver esaurito quel potenziale che pareva infinito nelle intellettuali cronache parigine di Paris Nous Appartient o in gran parte della produzione rohmeriana, sempre votata alla rappresentazione di ceti alto borghesi ma così puntuale nella descrizione della sua città, Parigi, o degli usi e costumi mutati.
A una quotidianità rozza e volgare, la vecchia guardia della Nouvelle Vague oppone una ricerca del bello sempre più raffinata, dando luogo a una sintesi delle arti, a un’esperienza estetica a 360°.


CAST & CREDITS

(Ne touchez pas la hache) Regia: Jacques Rivette; Soggetto: da La duchessa di Langeais di Honoré de Balzac; Sceneggiatura: Pascal Bonitzer, Christine Laurent e Jacques Rivette; Fotografia: William Lubtchansky; Montaggio: Nicole Lubtchansky; Scenografia: Manu de Chauvigny; Costumi: Maira Ramedhan-Levi; Interpreti: Antoinette de Langeais (Jeanne Balibar), Guillaume Depardieu (Armand de Montriveau), Principessa de Blamont- Chauvry (Bulle Ogier), Vidame de Pamiers (Michel Piccoli), Clara de Serizy (Anne Cantineau); Musiche: Pierre Allio; Produzione: Pierre Grise Productions, Martine Marignac & Maurice Tinchant, Cinemaundici con Arte France Cinéma, Canal +, Centre Nationale de la cinématographie & Ministero della cultura italiano; Distribuzione: Mikado Film; Origine: Francia 2007; sito della distribuzione italiana


Enregistrer au format PDF