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LA FINESTRA DI FRONTE

Pubblicato il 11 marzo 2003 da Giovanna Quercia


LA FINESTRA DI FRONTE

La morale è presto detta. Nella Finestra di fronte il passato, attraverso la voce e il volto del vecchio Massimo Girotti, ci viene a dire che abbiamo la felicità a portata di mano (basta fare caso a quello che ci circonda, affacciarsi alla finestra) ma non la prendiamo, che mortifichiamo la nostra vita e poi odiamo chi ci sta accanto perché gliene diamo la colpa. Dunque la memoria serve, i vecchi - e la Storia - hanno qualcosa da insegnare ai giovani e ad Ozpetek urge dare voce alla necessità di non indifferenza, di attenzione. Il vicino di casa che risveglia la passione è solo una metafora - come dimostra l’inconsistenza del personaggio interpretato da Raoul Bova, - per dire a tutte le persone che si accontentano di un lavoro che non amano e di una famiglia percepita solo come un cumulo di doveri, che non bisogna mai abbassare la guardia, che bisogna essere tenaci custodi dei propri beni affinché non si trasformino in catene. “Dev’essere bello proteggere un amore dal passare del tempo” dice il vecchio sopravvissuto alla Shoah, cui il destino ha sottratto quest’occasione. Ma per capirlo, alla giovane e stanca moglie-madre protagonista del film non basta sentirselo dire, dovrà provare a cambiare letteralmente prospettiva, a vedere se stessa con gli occhi dell’estraneo che la spia tutte le sere: È quello che fa Giovanna quando, finalmente decisa a concedersi al bell’inquilino della casa di fronte, si affaccia alla finestra, osserva da lontano e vede, probabilmente per la prima volta, i gesti teneri del marito e dei figli dietro le imposte di casa sua. È probabilmente la scena più emozionante e riuscita del film. Questo vogliono dirci Gianni Romoli e Ferzan Ozpetek con la loro storia, Giovanna Mezzogiorno con la sua interpretazione nervosa e vibrante, Massimo Girotti con il suo corpo da sopravvissuto già in fin di vita (l’attore di Senso è morto infatti durante il montaggio). Tuttavia c’è qualcosa che non convince nel film, e che impedisce un’adesione emotiva completa. È la programmaticità delle buone intenzioni che filtra in certi passaggi forzosi, nella scelta di volti spettrali e troppo esemplarmente semiti per i personaggi ebrei (le donne nel negozio di tessuti), nelle lettere letterarie che danno troppe spiegazioni e, infine, nei particolari eccessivamente melò a suon dei quali è scolpito il personaggio di Girotti: la perdita selettiva della memoria, il luogo segreto di appuntamenti con l’amore giovanile perduto, certe frasi esemplarmente sagge che gli sono messe in bocca (“non si accontenti di sopravvivere, di sognare un mondo diverso come ho fatto io”) Tutto questo, purtroppo, conferisce alla pellicola quella patina di artificiosità e di buonismo che sottrae mistero e impedisce alla vicenda di acquistare finalmente una vita propria, ne rende troppo evidente la parabola morale sottesa. Esattamente come accadeva nel Bagno turco e nelle Fate ignoranti, Ozpetek finisce per imbrigliare le infinite vie (alla ri-scoperta) della passione in una griglia razionale troppo ordinata e intelligibile. Peccato.

[marzo 2003]

Regia: Ferzan Ozpetek. Sceneggiatura: Gianni Romoli, Ferzan Ozpetek. Fotografia: Gianfilippo Corticelli. Montaggio: Patrizio Marone. Musica: Andrea Guerra. Interpreti: Giovanna Mezzogiorno, Massimo Girotti, Raoul Bova, Filippo Nigro. Produzione: Tilde Corsi e Gianni Romoli per R&C Produzioni. Origine: Italia 2003. Durata: 106’. Distribuzione: Mikado. Web info: www.mikado.it

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