La leggenda di Beowulf

«Penso che sia sempre pericoloso paragonare una sceneggiatura al materiale dal quale è tratta»: queste sagge, incontrovertibili e condivisibili parole del grande John Malkovich, sono state proferite a riguardo de La leggenda di Beowulf. Però, nonostante ogni testo possa ben considerarsi come un pre-testo al servizio dell’opera filmica, la visione di questo film, in particolare, ha suscitato più di qualche dubbio, quando la pretestuosità va a inficiare l’armonia del risultato finale.
Il celebre poema dal titolo Beowulf è il primo componimento conosciuto in lingua inglese e uno dei capisaldi della letteratura britannica: basato sull’archetipo della lotta tra l’Uomo e la Bestia, è allo stesso tempo epico e tragico, pregno di un fatale, oscuro e malinconico senso del destino, punto di unione tra paganesimo e cristianesimo, acuta critica sulla vanagloria dei beni terreni, caldo rifugio per la cultura germanica e alto-medievale - così lontane dall’armonia d’epoca classica – finalmente riscoperto nel XX secolo grazie al saggista J.R.R. Tolkien e fondamentale ispirazione per i suoi lavori di romanziere.
Beowulf (Ray Winstone) è un giovane guerriero geata dalla forza sovrumana, che accorre in aiuto del re danese Hrothgar (Anthony Hopkins) e della sua gente, terrorizzati dal sanguinario demone Grendel. L’eroe riuscirà dove tutti hanno fallito, ma dovrà poi vedersela con l’altrettanto pericolosa e vendicativa madre di Grendel (Angelina Jolie). Molti anni dopo un Beowulf ormai diventato l’anziano e malinconico re dei danesi, dovrà combattere un’ultima volta, contro un gigantesco drago sputafuoco.
Parrebbe che con quest’ultima costosa fatica, il cinema di prosa americano abbia cercato uno scontro frontale con la poesia europea, svilendola e avvilendola attraverso una sua propria idea di epica, superficiale e fracassona, che ormai appare definitivamente parte del suo patrimonio genetico dagli anni Duemila. Sono certamente da considerarsi le difficoltà in cui si può incorrere nell’adattare un’opera come il Beowulf, però deve essere anche sottolineato il fastidio provocato da certi cambiamenti operati rispetto al poema: Avary vi ha lavorato lungo l’ultimo decennio, fino a che l’intervento di Neil Gaiman (autore del fumetto Sandman e del romanzo Stardust recentemente portato sugli schermi) non gli ha consentito di trovare una, per lui, soddisfacente linea narrativa, che permettesse di filmare un’opera frammentaria e piena di punti oscuri, ma, proprio per questo, assai affascinante. Alcune aggiunte e giustificazioni appaiono come posticce e financo scontate e non fanno che impoverire il tessuto narrativo: certe scelte (in particolare il motivo per cui Grendel non uccide re Hogarth e la sensualità da dark-lady della madre del ’mostro’) sembrano richiamare lo (s)cult Beowulf, che nel 1998 vide all’opera Christopher Lambert nei panni di un ossigenato eroe metà uomo e metà demone, reietto fra i reietti, in un medioevo fantasy. I due sceneggiatori potrebbero, quindi, essere posti sullo stesso piano di quel Paul Javal, interpretato da Michel Piccoli, che mise mano al viaggio di Ulisse ne Le mépris di Godard; in quel 1963, però, almeno, vi era ancora un Fritz Lang a porre freno a tali ’ambizioni’. Nello script di Avery&Gaiman tutto rimane a un livello epidermico che fa rabbrividire i sensi quasi quanto la - anche se per motivi opposti - nuda pelle di una Angelina Jolie digitalizzata (o, se preferite, del protagonista Ray Winstone, considerevolmente ritoccato).
E proprio il modo in cui è stato tecnicamente realizzato il film ha fatto molto parlare di sé, grazie all’impiego della cosiddetta ’Performance capture’, già utilizzata da Zemeckis in Polar Express, ma qui arricchita dalla tecnologia EOG, utile per «Catturare la recitazione dell’occhio simultaneamente a quella del volto», in una congiunzione tra recitazione su di un palcoscenico teatrale, movimenti propriamente cinematografici della mdp e utilizzo del computer, per passare da immagini ’reali’ alla loro visualizzazione in due dimensioni, per giungere, infine, a una loro restituzione in grafica 3D (almeno nelle sale attrezzate). Di suo, questa realizzazione di un cinema che sia un totale simulacro della realtà, in grado di raggiungere una ancora maggiore astrazione, attraverso corpi che sono essi stessi pre-testi sui quali, e grazie ai quali, lavorare perché divengano fantasmi ed entità completamente manipolabili – sogno di molti registi, invero - è di certo interessante, ma si rimane ancora alquanto basiti quando, per esempio, si incontra lo sguardo ceruleo, e vitreo, di una altrove sempre splendida Robin Wright Penn. È come se si assistesse a un videogioco, con la notevole differenza che in una sala cinematografica si può essere soltanto spettatori, mentre, nel buio della propria dimora, di fronte a un televisore, ognuno di noi è spetta(u)tore delle ’proprie’ peripezie.
In effetti, «per la prima volta la produzione di un kolossal cinematografico è stata affiancata da quello di un videogioco, realizzato in parallelo e applicando le stesse tecniche cinematografiche utilizzate sul set», impiegando le medesime scene, riprese e attori: si tratta del ’moviegame’ Beowulf della Ubisoft. Questo tripudio di una sinergia audio-video-ludica che unisca il grande al piccolo schermo e vecchi teloni a console di nuova generazione, potrà segnare la meta ultima della Mecca dell’intrattenimento, ma anche il capolinea per quella fabbrica che un tempo sapeva creare anche Sogni, e non solo illusioni.
(Beowulf) Regia: Robert Zemeckis; soggetto: tratto dal poema epico Beowulf; sceneggiatura: Neil Gaiman e Roger Avary; fotografia: Robert Presley; montaggio: Jeremiah O’Driscoll; musica: Alan Silvestri; scenografia: Doug Chiang; costumi: Gabriella Pescucci; interpreti: Ray Winstone (Beowulf), Anthony Hopkins (Hrothgar), John Malkovich (Unferth), Robin Wright Penn (Wealthow), Brendan Gleeson (Wiglaf), Crispin Hellion Glover (Grendel), Angelina Jolie (la madre di Grendel); produzione: Warner Bros. Pictures, Imagemovers, Shangri-La Entertainment; distribuzione: Warner Bros. Pictures; origine: U.S.A. 2007; durata: 114’; web info: sito ufficiale.
