La mosca
È una continua ed insistita perseveranza imprigionata in un universo chiuso, ove le relazioni dimensionali tra le parti portate in scena vivono di legami forti e ben definiti, con il dito dell’autore che indica il problema che vuole mostrare allo spettatore e che, procedendo ancora più in là, si inserisce fin dentro la piaga, senza timore alcuno di mandarla in putrefazione.
È questa una delle vette più elevate raggiunte dal cinema di David Cronenberg, riconosciuto maestro di un rinnovamento del cinema dell’orrore e della fantascienza tra gli anni Settanta e Ottanta: quel body horror che mette in mostra deformazioni e mutazioni del corpo umano, causate da malattie o da esperimenti scientifici (Il demone sotto la pelle, Rabid - Sete di sangue) o da altri più puramente tecnonologici (Videodrome). Ma le mutazioni di tessuti ed organi, l’intervento esterno sul DNA umano, nella visione del regista canadese, ateo e appassionato di scienze naturali, causano rivoluzionari cambiamenti sul piano delle strutture sociali e politiche nei film appena citati. Mentre in seguito tale mutazione, in quel 1986 che vide la nascita de La mosca, fa sì che il cinema di Cronenberg si sia incanalato lungo pure la strada dell’horror psicologico, come a rappresentare il più ampio riflusso della perdita di coscienza delle masse, distaccandosi dai numerosi anni precedenti: quelli dei profondi sommovimenti socio-politici. Ora lo spirito dei tempi volge in favore di un maggiore individualismo: pertanto la metamorfosi genetica del corpo dello scienziato Seth Brundle (Jeff Goldblum, artefice qui di una performance che rimarrà negli annali del cinema) si riverbera poi su di una comprensibile sua degenerazione mentale: e non solamente perché – immaginiamo - anche il cervello è un organo.
Brundle è così posto al centro di un racconto che diviene profondamente intimista, raccolto all’interno di uno spazio puramente teatrale che, attraverso il chiuso dei suoi (pochi) set, oltre ad aumentare l’effetto di claustrofobia, ancor più rafforza il preciso legame che si è instaurato tra gli attori in scena: un tipico triangolo d’amore tra esseri umani, il quale si arricchisce della presenza della mosca del titolo. Un insetto che è sfuggito allo sguardo, solitamente attento, dello scienziato: il quale, preso da turbamenti affettivi legati a una gelosia nei confronti della sua compagna (la giornalista scientifica Veronica Quaife, interpretata da Geena Davis), che sospetta essere ancora attratta dall’ex amante Stathis Borans (John Getz), caporedattore della rivista presso la quale lei lavora, a causa della rabbia alza un po’ troppo il gomito con l’alcol e decide di sperimentare il teletrasporto su di sé. In tal modo al fanta-horror si aggiunge un dramma sentimentale dalle tinte forti, per un riuscitissimo mescolamento di generi che riecheggia l’inconsapevole fusione genetica tra l’umano e l’insetto, dal quale nascerà un nuovo essere, dal medesimo studioso ribattezzato ’Brundlemosca’: con Brundle quindi che diviene figlio di se stesso; oltre che di un animale col quale sarebbe stato altrimenti impossibile accoppiarsi.
E così come il fisico Brundle conduce un esperimento nel suo laboratorio, lo scienziato mancato David Cronenberg ne dirige un altro che che ha come oggetti di studio l’amoroso triangolo delle passioni e le dualità natura-cultura e corpo-mente (o carne-psiche se si preferisce): il tutto ripreso all’interno di uno schematico e asettico sistema, meglio atto a presentare quelle condizioni controllate che sono necessarie per eseguire esperimenti ed effettuare ricerche e misurazioni, essenziali per studiare il mondo e le strutture che ne sono alla base, attraverso una sua sintomatica porzione, ma tenendosi lontani dal caos del mondo reale colto in tutta la sua ampiezza. Viene così eliminato tutto quello che non è necessario allo studio del sistema preso in considerazione: per esempio la presenza dei personaggi secondari è talmente breve da non rischiare di interferire nei rapporti tra i capisaldi Seth-Veronica-Stathis; né tantomeno costituire una distrazione per lo spettatore, costretto ad osservare quello che il regista-demiurgo ha deciso per lui.
Qui interviene la struttura filmica da pièce teatrale, quando innalza pareti utili a proteggere quel microcosmo, all’interno del quale riecheggiano le note della partitura composta da Howard Shore, colonna sonora connotata da uno stile operistico, fondamentale per rafforzare il registro melodrammatico del film. E difatti, per prolungare sotto nuove vesti il discorso cominciato nel 1986, Cronenberg e Shore nel 2008 realizzeranno una versione de La mosca come opera lirica.
Soggetto molto cronenberghiano, quello di questa pellicola. Malgrado si tratti del remake de L’esperimento del dottor K., diretto da Kurt Neumann nel 1958 e tratto dal racconto La mosca di George Langelaan pubblicato l’anno precedente su Playboy. Forti sono però le modifiche apportate dal cinesta di Toronto al film originario: principalmente per donargli una maggiore logicità scientifica e per togliere via una certa patina naïf presente nel film interpretato da Vincent Price; oltre che ovviamente per aggiornarlo ai dettami del body horror e alla preponderanza dell’accoppiamento di Eros e Thanatos, dove un distruttivo amore sensuale prende il posto di quello più tranquillo (matrimoniale e fraterno) espresso dal film di Neumann.
In Cronenberg si possono poi notare un paio di ironici particolari. Il nome del protagonista è Seth, omonimo del dio egizio con corpo umano e testa animale: così come l’André Delambre de L’esperimento del dottor K aveva una testa di mosca di dimensioni umane su un corpo che, tolto un braccio sostituito da una zampa, era per il resto normale. Inoltre sempre il cineasta canadese mette in scena una grottesca rilettura del superomismo supereroistico di Spider-Man, il quale ha acquisito incredibili poteri grazie al morso di un ragno radioattivo. Il ragno – si sa – è nemico giurato delle mosche; ma Brundlemosca può perlomeno camminare lungo pareti verticali, al pari dell’Uomo Ragno.
Il personaggio della Marvel però non è nato dalla fusione di due esseri appartenenti a specie diverse: e ciò di certo ha dato meno problemi a Peter Parker di quanti la fusione genetica ne abbia dati a Seth Brundle. O all’ibrido gatto-babbuino partorito da uno dei tentativi realizzati dallo studioso per capire come diminuire la quantità di DNA della mosca all’interno del proprio codice genetico, al centro di una scena che è stata girata ma non più inserita nel montaggio finale.
«Hai mai sentito parlare della politica degli insetti? Gli insetti non hanno politica. Sono molto brutali: niente compassione, niente compromessi. Non ci si può fidare degli insetti. Vorrei diventare il primo insetto politico. Lo vorrei diventare davvero, ma ho paura che... Sto dicendo che sono un insetto che ha sognato di essere un uomo e gli è tanto piaciuto. Ma ora il sogno è finito e l’insetto si è svegliato. Sto dicendo che ti farò del male, se rimarrai».
È questo un monologo indirizzato da Brundlemosca a Veronica che ben riassume l’evoluzione della filmografia cronenberghiana: per anni la sua attenzione, dopo essersi posata su gruppi ampi di individui, con connotazioni quindi più marcatamente sociali e politiche, toccherà sfere più intime ed individuali. Soprattutto poi si evince dalle battute sopra riportate il pensiero del cineasta nordamericano di una natura composta di esseri viventi in perenne lotta tra di loro, intenti a prevalere gli uni sugli altri. Facile quindi far correre il pensiero al virus Covid e a come abbia da tempo infettato varie specie animali, giungendo da qualche mese fino alla nostra... Sebbene infine La mosca non parli di alcun contagio, il suo è il racconto allegorico sulla degenerazione portata dalla malattia, seguita passo passo nella sua evoluzione da un invadente occhio giornalistico-documentaristico. Evoluzione che segna un distacco da La metamorfosi di Kafka, racconto che, assieme alla fiaba de La bella e la bestia, si mostra in ogni caso come primaria fonte di ispirazione per le vicende narrate.
Realizzato nel 1986 grazie alla produzione di Mel Brooks, comico parodistico che sei anni prima aveva portato ad Hollywood The Elephant Man dell’altro David (Lynch ovviamente) che ha fatto dell’esplorazione del corpo prima e della mente in seguito un esperimento cinematografico che, al pari del suo collega canadese, ha rappresentato il punto massimo del cinema postmoderno nordamericano, il successo de La mosca (progetto nato dopo il fallimento del Total Recall con Dino De Laurentiis, il quale collaborò con Lynch per Dune e Velluto blu) ha permesso al suo autore di percorrere ulteriori ed impervie strade di creatività cinematografica che, allo stesso modo dell’autore statunitense, ha valicato i confini tra generi come il noir, l’horror, lo Sci-Fi, il melodramma, per restituire opere personalissime, gemme che hanno segnato un’epoca e che brilleranno in eterno.