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LA PASSIONE DI CRISTO

Pubblicato il 22 aprile 2004 da Marino Galdiero


LA PASSIONE DI CRISTO

The Passion è, per dirla in una battuta, da un punto di vista del linguaggio cinematografico, la versione seria di Pulp Fiction, tanto che con tutta semplicità potremmo chiamarlo Pulp Christ. Togliete l’ironia di Tarantino, di conseguenza il divertimento, e calate nel procedimento di costruzione delle immagini la serietà che si conviene ad un tema sacro e il gioco è fatto. Ciò che li accomuna, pur essendo uno autore e l’altro un regista attore, è la capacità di raccogliere un’ampia tradizione iconografica o cinematografica e sintetizzarla in una nuova forma di spettacolo. Sono proprio sicuro di quanto dico? Non rischio il linciaggio da parte dei cultori di Kill Bill? Certo l’accostamento potrebbe far rabbrividire le anime pure, e pure la mia che tanto pura non è, ha avuto un sussulto, a concepire una parentela tra Quentin & Mel. Però quando - tenete il fiato - ho visto l’Orto del Getsémani simile ad un cimitero dove vagano le anime dei morti, Satana con i vermi nel naso, bambini dal volto deforme, una carcassa d’asino in putrefazione, un serpente dark, soldataglia western, Pilato come in un film storico, un corvo sopra la croce del ladrone cattivo, ralenti a profusione, musica pompata, personaggi privi di spessore psicologico, colori contrastati, il corpo di Gesù massacrato, Gesù nel sepolcro simile a Terminator, e sangue sangue sangue. Ho pensato: non è solo un film, dentro vi sono riflessi mille film, tanti frammenti eterogenei accostati intorno ad una figura centrale. Ho pensato che le categorie tradizionali della critica strettamente intesa non erano più sufficienti, perché è il cinema stesso ad essere ricostruito, nel tentativo di aderire ad una nuova epoca, le cui leggi sono quelle dell’entertainment mondiale, e per dargli un volto adeguato ad una percezione diversa del reale. Se ragioniamo con le regole accademiche con cui l’arte è consegnata al museo, alla visione di un beato passato che non c’è più, al collezionismo raffinato, non abbiamo altra possibilità che gettare uno sguardo sprezzante su The Passion. Altrimenti, per non morire di nostalgia, possiamo provare a chiederci qualcosa sul cinema in un mondo fatto di immagini. Per questo il confronto proposto da più parti col Vangelo secondo Matteo di Pasolini è spesso fuorviante. Il Mistero espresso in quel film vive di una concezione umanistica dell’immagine, dove il respiro dello Spirito aleggia insuperato, e di tutto ciò poco rimane nel film di Gibson. Ci si domanda: come sarà l’immagine-cinema del futuro? In che modo si trasmette in un’epoca altra, con riferimenti culturali e tecniche diverse, quella concezione pasoliniana che tanto ci sta a cuore? Domande non risolte di sicuro da Gibson. Tuttavia mi sembra che alla radice di The Passion ci sia, pur non essendo forse nelle intenzioni del suo realizzatore, un ripensamento dell’immagine. E quale figura migliore se non quella di Gesù Cristo per esprimere tale riflessione? Come ricorda Régis Debray, nel suo volume Vita e morte dell’immagine - Una storia dello sguardo in Occidente, nel secondo concilio di Nicea (787) si pose fine alla guerra tra i nemici dell’immagine (iconoclasti) e partigiani delle immagini (iconofili). Ad avere la meglio furono questi ultimi con conseguenze determinanti per l’Occidente, che tramite il dogma dell’Incarnazione ebbe il permesso dell’immagine, di poter così riprodurre il Cristo (figura umana e divina). Il sacro non era più inaccessibile e consegnato solamente al logos, ma diveniva immagine con la sua ambiguità, propria di ogni opera d’arte, impastata di materia e spirito. Molti sono i riferimenti in The Passion alla visione, al guardare, con frequenti soggettive del Cristo, una addirittura dal Padre nei cieli, e se non erro anche uno sguardo in macchina. Il corpo stesso di Gesù nella sua passività attraverso cui passa un’inimmaginabile violenza, fa pensare ad una macchina da presa per mezzo della quale il mondo è registrato, accertato nella sua esistenza. E allora per terminare, un’ultima domanda, questo Corpo/Cinema/Cristo immesso in una evidente finzione, cosa ci permette di vedere?

[aprile 2004]

(The Legend of the Christ)

regia: Mel Gibson sceneggiatura: Mel Gibson, Benedict Fitzgerald fotografia: Caleb Deschanel montaggio: John Wright musica: John Debney interpreti: James Caviezel, Maia Morgenstern, Monica Bellucci, Ivano Marescotti, Rosalinda Celentano, Claudia Gerini, Sergio Rubini produzione: Bruce Davey, Mel Gibson, Stephen McEveety origine: USA 2003 durata: 130’ distribuzione: Eagle Pictures

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