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La prima linea

Pubblicato il 21 novembre 2009 da Edoardo Zaccagnini


La prima linea

Non ci dice tutto, La Prima Linea, nonostante una buona sceneggiatura, una fotografia livida e ghiacciata, una tensione che sa agganciarci quasi subito e non lasciarci mai per tutto il film. E bravo, in questo senso, al cinquantunenne Renato De Maria, che giunge, con questo, al suo quarto film, tornando, sette anni dopo Paz, ai tardi anni settanta italiani, e riuscendo a far recitare con intensità e precisione due attori italiani spesso soggetti a critiche e scetticismo, visto il loro aspetto esteriore, piacevolissimo, ed una serie di partecipazioni a film di successo discussi e discutibili. Anche se hanno già lavorato, entrambi, con registi di grande spessore come Marco Bellocchio e Costantin Costa Gavras, tra gli altri. Giovanna Mezzogiorno, già amante di un importante rivoluzionario tragico, e Riccardo Scamarcio, qui silenziosamente al suo terzo film sulla storia politica italiana recente, dopo Mio fratello è figlio unico e Il grande Sogno. Non dice tutto, ma qualcosa dice, questo film italiano tanto bersagliato prima e dopo essere stato visto, e questo qualcosa è prezioso, quando un paese tende a dimenticare, e quando il cinema è poco abituato a tornare sui luoghi di un delitto che non è solo di cronaca, per ricordare alla sua gente quello che è accaduto, e ciò che quello ha provocato, a partire dal dolore delle vittime per arrivare alle conseguenze politiche di tali gesti e tali errori. Il film dice che la violenza politica di sinistra degli anni settanta italiani passa anche per altre lettere e per altre sigle, come la P e come la L, per esempio, inquadrando una complessità storica ancor maggiore di quella sino ad oggi rappresentata e raccontata dal cinema. Il film ricorda che "Prima Linea" è stata un’organizzazione criminale e terroristica senza scrupoli, che ha ucciso un giudice bravo, Emilio Alessandrini, nonostante fosse stato il primo a capire la reale matrice politica di Piazza fontana, una matrice certamente non di sinistra. Il film fa dire ai protagonisti che quel giudice va ucciso semplicemente perché è stato nuovamente bravo, perché ha capito il progetto eversivo e barbaro di "Prima Linea", e perché sta creando un data base che consentirebbe di lì a poco di sconfiggere quella banda armata fino ai denti. Il film parla, e ha l’accortezza e la fortuna di mostrare un repertorio straordinario e ultra significativo: quello dei funerali dello stesso Alessandrini, ucciso solo cinque giorni dopo un altro omicidio politico assurdo, quello del sindacalista genovese Guido Rossa, freddato una mattina di gennaio mentre andava a lavorare in fabbrica. 1979, solo perchè aveva denunciato la presenza di cellule eversive all’interno dello stabilimento industriale in cui lavorava. D’improvviso, dopo la sequenza dell’attentato al magistrato, girata con un’intensità piuttosto insolita nel cinema italiano, vediamo la Piazza principale di Milano stracolma di sdegno e di dolore, fitta di gente silenziosa mentre il feretro raggiunge il Duomo della città. Se non abbiamo interpretato male le parole di Benedetta Tobagi apparse sul quotidiano La repubblica il 13.11.09 ("Il repertorio dei funerali restituisce lo sdegno di un paese intero, pare che questa aggiunta sia frutto dell’incontro con le associazioni dei familiari delle vittime organizzato dalla Direzione cinema del Ministero"), sembrerebbe che l’utilizzo di questo prezioso documento sia stato deciso a posteriori. Non risultano altre conferme di questa notizia, ma quel che conta davvero è che il prezioso materiale d’archivio faccia parte del film, e che gli autori abbiano, per un motivo o per un altro, deciso di utilizzarlo.

_Non dice tutto, ma qualcosa dice, La prima linea di De Maria, liberamente tratto dal libro Miccia corta di Sergio Segio e sceneggiato con cura da Sandro Petraglia, Ivan Cotroneo e Fidel Signorile. Dice che "Prima Linea" gambizzava i dirigenti di fabbrica, e che uccise un giovanissimo e fragile William Vaccher perché incapace di resistere alla violenza della polizia. Perchè non sufficientemente insensibile al dolore per non dire ciò che sapeva. Non ci sono molte discussioni che precedono quell’altro barbaro omicidio. Sergio, mai Segio perché il film non dice mai il cognome del protagonista, legge il giornale e medita. Poi l’agguato, di notte, sotto casa del giovane, quattro, cinque colpi, nessun commento.

La prima linea parla. Racconta che il terrorismo italiano di sinistra non sono state solo le Brigate rosse, e allarga il rapporto tra il cinema italiano e gli anni ’70 del piombo, forse non risolto come quello tedesco, che, secondo Benedetta Tobagi, continuerebbe a battere l’Italia quattro a tre.

La prima Linea non dice tutto, essendo un film di meno di due ore, ma illumina, eccome, e fa fare benvenuta retromarcia al nostro cinema. Pur sintetizzando tanto, ma sintetizzando piuttosto bene. Traccia date, nomi, passaggi, fa dire frasi pesanti come: "Facevamo cose da pazzi ma non eravamo pazzi"; "Eravamo partigiani guerriglieri, convinti di aver ragione, e invece avevamo torto"; "Non credo che vinceremo, ma è tutto capovolto, e bisogna che qualcuno provi a cambiare le cose";" Ma siete la prima linea di un corteo che non c’è più!".

La prima linea racconta una storia d’amore, di dolore e di follia, mentre viaggia per suggestivi e tesi flashback. Raggiunge l’identità di film storico dignitoso, rigoroso nella messa in scena e destinato a suscitare reazioni forti e controverse. Soprattutto per il tema delicato che tocca. Sergio Segio non ha gradito questo film, perché ne sognava uno che partisse da prima, che raccontasse bene l’inizio delle lotte operaie, e che mostrasse tutto il percorso che poi avrebbe condotto al terrorismo. Ma il film sceglie un altro punto di partenza, come ha chiarito il regista: "A me aveva colpito il tono crepuscolare della storia. Volevo un film che raccontasse il declino, la fine, basato soltanto sul rigore dei fatti. Già il tipo di racconto è una scelta”.

La prima linea non scava fino ad una profondità inaspettata, ma forte di una struttura narrativa suggestiva ed attraente, racconta il terrorismo nazionale da una prospettiva che prescinde dalla vicenda Moro. Nel film, soltanto accennata.

La Prima linea non dice tutto, ma parla e fa parlare, creando, da adesso in poi, un dibatitto sano, e dando l’occasione di tornare sull’argomento, anche grazie all’ impossibilità del film di raccogliere tutti gli elementi e al suo lasciare zone d’ombra, che poi portano alla lunga ed importante riflessione di Benedetta Tobagi (sulle pagine di Repubblica), il giorno dopo la proiezione stampa del film. La figlia del giornalista ucciso dalle Br parla di film mancato, laddove sarebbe più giusto, a nostro modo di vedere, parlare di discreta e chiara ricostruzione parziale, di sintesi non fuorviante sostenuta da un linguaggio che non si rivolge solo agli appassionati di terrorismo, nè ai cinephile ultra incalliti, ma che consente allo spettatore italiano che poco va al cinema, di digerire un film ben costruito, che a maggior ragione diventa importante perché evento potenzialmente collettivo. Anche se alla lunga sono i film bellissimi a rimanere nella storia. La figlia di una delle vittime più note del terrorismo italiano degli anni ’70, segnala tre buchi all’interno del film: tra l’omicidio Vaccher, e il primo arresto della Ronconi, cioè tra il febbraio e il dicembre del 1980, c’è un colloquio tra e Sergio e Susanna in cui l’uomo si dichiara intenzionato ad uscire dall’organizzazione. Nella realtà, secondo la Tobagi, a marzo Segio uccise il giudice istruttore Guido Galli, di cui effettivamente non c’è traccia nel film. Precedentemente, Susanna, dice che prima di militare in "Prima Linea" studiava, ma non dice che prese parte al primo omicidio delle Br, a Padova, quello di Mazzola e Giralucci, nel 1974. Nell’esecuzione dell’omicidio Alessandrini, per finire, non c’è traccia di Marco Donat Cattin, figlio del politico della Dc. "Una sceneggiatura efficace, impone tagli", le risponde virtualmente il regista, che sceglie tre delitti simbolo da inserire nel racconto dei personaggi e dell’organizzazione terroristica Prima Linea.

Il film non dice tutto, è vero, e non è un’opera di spessa autorialità, ma costruisce, a nostro modo di vedere, un rapporto di continuità tra fatti pubblici e universo interiore dei protagonisti, raccontando il distacco di due ventenni dalla realtà, killer spietati anche di una loro vita normale, fabbricatori di una alienazione che conduce ad una tragica disumanizzazione. Il risultato di tale scelta, pagato tragicamente da tutti quelli che nel film cadono a terra ammazzati, si materializza negli incubi ricorrenti che i due protagonisti fanno o raccontano di aver fatto, nei "Quaderni rossi" chiusi nel cassetto di Sergio, nel monito disperato, e non raccolto, di un ex militante di "Lotta continua" mai passato dall’altra parte. Nelle parole in faccia alla macchina da presa di Sergio, e nella sua postuma e dolorosa presa di coscienza, dura e fredda come tutto il film. Il risultato della scelta dei protagonisti sta nella solitudine di Sergio e in quella della sua compagna, nell’esponenziale anestetizzazione degli affetti (entrambi eliminano ogni forma di rapporto con i propri genitori), nel loro isolamento folle, figlio di un disegno delirante che termina su una campagna senza vita, una vita negata, come quella innocente e recentissima che Susanna non sa come tenere in braccio.

La Prima linea non è un film particolarmente complesso, nè un’opera di impressionante verticalità. Ma approccia con onestà e personalità alla complessità dei fatti, cercando di raccontarli bene, e con questi le tragiche conseguenze delle ideologie integraliste di soli trent’anni fa. Il film tiene botta a tutti i rischi che corre, dando vita ad una comunicazione onesta, che consentirà a tutti quelli che guarderanno La prima linea, speriamo in tanti, di fare le proprie riflessioni.

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CAST & CREDITS

(La prima linea); Regia: Renato De Maria; sceneggiatura: Sandro Petraglia, Ivan Cotroneo, Fidel Signorile; fotografia: Gian Filippo Corticelli; montaggio: Marco Spoletini; musica: Max Richter; interpreti: Riccardo Scamarcio, Giovanna Mezzogiorno, Fabrizio Rongione; produzione: Lucky Red, Les Film du Fleuve; distribuzione: Lucky Red; origine: Italia, 2009; durata: 96’


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