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La prima linea (Conferenza stampa)

Pubblicato il 14 novembre 2009 da Fabiana Proietti


La prima linea (Conferenza stampa)

Roma - Arriva nelle sale La prima linea, il film “di cui tutti hanno parlato ma che nessuno ha ancora visto”, secondo lo slogan utilizzato da Giorgio Gosetti, moderatore della conferenza stampa che ha avuto luogo a Roma giovedì 12 novembre, dopo una proiezione affollata da critici e giornalisti, attratti come falene dalla luce delle polemiche che il lavoro di Renato De Maria, liberamente ispirato al romanzo Miccia corta di Sergio Segio, ha trascinato con sé.
In realtà è proprio su quel “liberamente” che si incentra da subito il dibattito: solo il giorno precedente all’anteprima stampa, Andrea Occhipinti, fondatore della Lucky Red, casa produttrice del film, ha reso pubblica la decisione di rinunciare ai fondi ministeriali. Un finanziamento che sin da subito era stato giudicato controverso, da un lato innescando lo sdegno delle associazioni civili dei parenti delle vittime del terrorismo, dall’altro gettando delle ombre sull’effettiva libertà espressiva concessa ad autore e produttori da parte del Ministero.
Così, oltre al regista, Renato De Maria, allo sceneggiatore Sandro Petraglia (co-autore dello script con Ivan Cotroneo e Fidel Signorile), e agli interpreti Riccardo Scamarcio e Giovanna Mezzogiorno, le figure preminenti durante il confronto diventano quelle del produttore Occhipinti e dei due co-produttori stranieri di lusso, i fratelli Jean-Pierre e Luc Dardenne.

Sono proprio i due autori belgi a tenere a battesimo quest’opera, alla prima proiezione ufficiale in Italia, dopo la presentazione al Festival di Toronto.
Pur rimarcando il coraggio e la grande fiducia nel progetto dimostrati da Occhipinti con la rinuncia ai fondi per liquidare le polemiche, per loro La prima linea è soprattutto un bel film dal punto di vista cinematografico: “È una pellicola che richiama la grande scuola del cinema italiano, quella che è capace di raccontare la storia del proprio Paese.
Quando abbiamo incontrato Renato De Maria per parlare del film
– racconta Luc Dardenne – quello che ci ha colpito subito è stata la sua idea stilistica della separazione dei protagonisti dal mondo reale, il raccontare l’itinerario di un uomo che ammette davanti alla macchina da presa di essere un assassino che sognava un mondo migliore, il suo allontanamento dalla sfera sociale e il suo reinserimento nella comunità umana, a posteriori. Ci pare una sfida vinta per un cineasta l’essere riuscito a non trasformare il film in un tribunale, mantenendo centrale la storia umana. Per questo dobbiamo anche ringraziare i due interpreti che hanno saputo dare spessore, carne e sentimenti ai propri personaggi”.
Inoltre – interviene Jean-Pierre – c’è anche una strana ironia nel racconto del terrorismo come una storia d’amore finita male, come se la morte che irrompe nelle vite dei protagonisti eliminasse ogni possibilità di vivere un sentimento. Quando le macchine si muovono verso il carcere sembrano un corteo funebre, che porta con sé il peso di tutti gli uccisi e il cadavere dell’amore tra Sergio e Susanna”.

Già, l’amore. La storia di Sergio e Susanna è in effetti il motore del film, l’elemento che dà il via all’azione, con l’evasione dal carcere di Rovigo progettata da Segio non in veste di militante politico (aveva lasciato Prima Linea già da due anni) ma per liberare la sua donna.
Come è stato conciliare il rigore dei fatti con l’emotività della sfera privata? Quanto è stato difficile per De Maria non avere compassione dei propri personaggi? Il regista spiega come questo progetto sia nato casualmente, “inciampando” nel libro di Segio, un giorno in libreria. Da allora una sola idea lo ha ossessionato, quella citata dagli stessi Dardenne: la separazione dal mondo vissuta entrando in clandestinità. Questa la chiave drammaturgica e registica scelta per raccontare l’esistenza di due giovanissimi – Segio che progetta l’evasione a venticinque anni, e commette il suo primo omicidio a ventidue – “l’avvitamento su se stessi sempre più veloce, per rispondere colpo su colpo a quella che avvertivano come una guerra allo Stato”.

Se Sergio e Susanna cessano di avere un confronto diretto col mondo, il solo modo di relazionarvisi è il filtro: ecco allora che si è deciso “di riprenderli sempre dietro a un vetro, sia la finestra di un appartamento che la cornice trasparente della cabina telefonica. Credo che la pietas insita nell’opera sia dentro questa idea della separazione dei personaggi dal mondo fisico e dai propri sentimenti”. Aggiunge prontamente Giovanna Mezzogiorno: “C’è una sorta di camera d’aria tra loro e ciò che potrebbero provare, il muro tra loro stessi e la sfera emotiva è l’ideologia”.
Sandro Petraglia sottolinea l’aspetto privato del film rispetto all’affresco storico: “solitamente i film sul terrorismo hanno raccontato le BR, dando rilievo allo Stato, all’aspetto stragista. Noi volevamo un film semplice, che riflettesse sul fatto che questi due ragazzi erano giovani, innamorati, potevano avere un’altra vita ma hanno fatto questa scelta, raccontando quindi l’ideologia, l’integralismo, che faceva sì che un omicidio non fosse l’eliminazione di una persona ma di una funzione”.

Questa idea del distacco sorregge anche le prove attoriali di Scamarcio e Mezzogiorno, che hanno persino incontrato Segio e la Ronconi, cercando di trovare una chiave interpretativa attraverso cui leggere i loro personaggi.
Da parte di Giovanna Mezzogiorno è stato il distacco da quanto già visto sull’argomento, dall’eccessiva umanizzazione come dalla maschera di durezza che costituiscono i due poli nell’interpretazione del terrorista. “Volevo che lei fosse così come l’ho incontrata: determinata, anche spietata, ma allo stesso tempo molto energica e vitale. Due livelli difficili da mettere insieme ma importanti per lasciar emergere l’incapacità a relazionarsi col mondo esterno, la distanza invalicabile tra sé e la società che è stata poi il motivo del fallimento”.
Per Riccardo Scamarcio, invece, è stato decisivo l’aver individuato nel modo di parlare e di porsi calmo e analitico di Segio, una sorta di implosione. “Per me è stata quella la chiave per impersonarlo. Nel film appare in scena nel momento in cui prende coscienza dei suoi errori. La sua è una lunga agonia”.

Le ultime battute sono rivolte proprio al giudizio dato su La prima linea dai veri protagonisti della vicenda: una presa di distanze assoluta, con tanto di accuse riportate da Segio nella prefazione alla riedizione del suo libro edito da Derive e Approdi.
Ma gli autori ribadiscono la propria lealtà nei confronti di Sergio Segio e di Susanna Ronconi, del tentativo di avviare un dialogo tramontato di fronte a una chiusura pressoché totale (“Ah cominciate con il mostro dietro le sbarre perché è più rassicurante” sottolineava Segio dopo una lettura del copione). Ma in fondo, come afferma Giovanna Mezzogiorno, “era inevitabile che non fossero contenti. Qui manca ciò che avrebbero voluto vedere: il loro grande sogno rivoluzionario”.
E aggiunge De Maria: “Un film ha un punto di vista. A me aveva colpito il tono crepuscolare della storia. Segio sognava un film che partisse dall’inizio, dalle lotte operaie, raccontando poi tutto il percorso che avrebbe condotto al terrorismo. Ma io volevo un film che raccontasse il declino, la fine, basato soltanto sul rigore dei fatti. Già il racconto è una scelta”.
L’attrice e il regista ribattono prontamente anche a chi si domanda come mai i film sul terrorismo non raccontino mai le stragi compiute dalla destra: “Io credo che l’Italia sia un Paese tendenzialmente di destra; la sinistra fa autocritica, vuole cercare di ritornare sui propri errori per comprenderli, la destra è forte della sua arroganza e non lo fa”, dichiara Giovanna Mezzogiorno.“Perché questa storia proprio oggi?” - riprende De Maria - “Perché mi sono innamorato della struttura narrativa di questo libro e volevo raccontare il terrorismo da una prospettiva che non fosse il rapimento di Moro. Credevo che dopo trent’anni fosse il momento giusto per una riflessione, per una catarsi collettiva”.


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