LA ROSA BIANCA

In occasione del sessantesimo anniversario della fine della seconda guerra mondiale, della liberazione di Auschwitz, del bombardamento di Dresda, in Germania è tutto un proliferare di giuste e necessarie rievocazioni e celebrazioni per non dimenticare. Anche il cinema ha dimostrato di volersi allineare a questa legittima tendenza, anche se non si puó certo dire che vi sia penuria di film sul Terzo Reich, sia tedeschi che stranieri, dal 1945 in poi. Dopo la stagione di odio contro la generazione dei padri del Junger Deutscher Film degli anni ’60-’80 , con la caduta del Muro si è verificato un nuovo fenomeno storico-sociale per quanto riguarda la produzione di film sull’argomento, caratterizzato da un forte desiderio di riconciliazione tra ebrei e tedeschi, negando l’equazione che vuole sempre questi ultimi automaticamente nazisti. La rosa bianca si iscrive perfettamente in questo filone, in quanto si tratta praticamente dell’unico episodio di resistenza al regime di Hitler, quello rappresentato appunto dal gruppo dei giovani studenti della cosiddetta "Rosa Bianca", molti dei quali furono giustiziati o condannati a pene durissime con l’accusa di altro tradimento, solo per aver distribuito del materiale che metteva in dubbio le strategie politiche e militari del Reich. Una vicenda già al centro di altri film ( Die weiße Rose di Michael Verhoeven, 1982) che però questa volta il regista (televisivo) Marc Rothemund ha deciso di focalizzare quasi esclusivamente su Sophie Scholl, una delle poche ragazze del gruppo, e l’unica ad esser condannata a morte, anche in seguito alla scoperta che per la prima volta erano stati resi noti i protocolli giudiziari degli interrogatori e delle inchieste (di qui il titolo tedesco Sophie Scholl - Die letzte Tage, ovvero “gli ultimi gioni”). Su di essi si basa quasi esclusivamente la sceneggiatura, tranne poche aggiunte risultanti comunque da ricerche storiche e testimonianze sinora inedite, che quindi si concentra nei pochi giorni trascorsi dall’arresto alla ghigliottina, passando per un rapido processo che doveva essere esemplare. Il risultato, di conseguenza, non sfugge ad una sua pesantezza burocratica nelle scene insistite degli interrogatori, ma con la sua buia e claustrofobica ambientazione da Kammerspiel ha quantomeno il merito di smussare almeno in parte gli inevitabili aspetti retorici e religiosi che rischiano di fare di Sophie una figura eccessivamente idealizzata, una sorta di Giovanna d’Arco che accetta il rogo sorridendo ai suoi carnefici. Carnefici che sono equamente divisi tra l’ispettore Mohr, una specie di travet del nazionalsocialismo da cui trapela infine un po’ di umanità, e il giudice che conduce il processo, dall’atteggiamento eccessivo e sopra le righe in una rabbia ingiustificata (davanti a tre ragazzini sparuti e destinati a morte certa, perché urlare come ossessi se non per sottolineare il loro eroismo già abbastanza lampante?). La lunga sequenza ambientata nel tribunale assume quindi una valenza didascalica piuttosto fuor di misur, molto meno efficace, ad esempio, del commovente addio ai genitori, realizzato invece con grande sobrietà e compostezza e pertanto molto più commovente. Su tutti spicca per la sua intensa interpretazione Julia Jents, attrice di provenienza teatrale e star del momento in Germania, che si è meritatamente aggiudicata l’Orso d’oro per la migliore interpretazione femminile.
[Ottobre 2005]
(Sophie Scholl - Die letzte Tage) Regia: Marc Rothemund Sceneggiatura: Fred Breinersdorfer Recherche Ulrich Chaussy Fotografia: Martin Langer Montaggio: Hans Funck Musica: Johnny Klimek, Reinhold Heil Interpreti: Julia Jentsch, Fabian Hinrichs, Alexander Held, André Hennicke Produzione: Neue Goldkind Filmproduktion Distribuzione: Istituto Luce Origine: Germania 2004 Durata: 117’
