LA SAMARITANA

Dopo la splendida parentesi poetica di Primavera, estate, autunno, inverno e ancora primavera, vergognosamente ignorato dalla giuria dell’edizione 2004 di Locarno (non ci stancheremo di ripeterlo!) ma ricompensato dal grande successo di pubblico per un cinema che evidentemente non è più solo di nicchia, Kim Ki-Duk sembra riprendere le fila proprio dove si era fermato con Bad Guy. In concorso a Berlino nel 2001, si concludeva con l’amore violento e impossibile tra una prostituta e il suo sfruttatore, sublimato attraverso il concedersi agli sconosciuti clienti: La Samaritana si apre con una leggenda, quella di una antica prostituta indiana, di nome Samaria (da cui il titolo originale del film), che donava tale felicità agli uomini che incontrava, da convertirli al buddhismo. Lo spirito di questa donna sembra rivivere in una ragazzina che dopo la scuola si prostituisce in camere d’albergo, ufficialmente per mettere insieme i soldi per volare in Europa con la sua migliore amica e “manager”, ma in realtà sembra quasi considerare la sua attività un modo per donare amore nel mondo e renderlo migliore. Alla sua tragica morte, l’amica decide di prenderne il posto, ma per riequilibrare le cose, sarà lei a pagare i clienti per l’amore che riuscirà a dare loro. Nella sua purezza assoluta e sacrale di “buona samaritana”, attraversa le fiamme dell’inferno dell’infelicità umana senza bruciarsi ma incenerendo tutto quello che tocca, portando dolore dove credeva di recare gioia. Trattandosi di Kim Ki-Duk, tutto questo non può che avvenire con una discreta scia di sangue e cadaveri, anche se la violenza delle sue precedenti opere sembra qui essersi rarefatta in una fotografia dai toni gelidi e spenti e in un montaggio “pudico” che non concede nulla agli eccessi grandguignoleschi. Non lontano dalle ossessioni religiose di Dostoevskji (e da quelle mistico-cattoliche alla Von Trier) sull’umiliazione che porta al riscatto dalla colpa, Kim Ki-Duk costruisce una fredda sonata divisa in tre precisi movimenti dove, come in un contrappunto, ad ogni episodio d’amore “donato”, corrisponde un evento di morte, ad ogni delitto, un castigo.
Regia: Kim Ki-Duk Sceneggiatura: Kim Ki-Duk Fotografia: Sun Sang-Jae Montaggio: Kim Ki-Duk Musica: Park Ji Interpreti: Lee Uhl, Kwak Ji-Min, Seo Ming-Jung Produzione: Kim Ki-Duk Film Origine: Corea, 2004 Distribuzione: BIM Durata: 95’
