La sangre y la lluvia - Venezia 66 - Giornate degli autori

Una Bogotà collaterale, tra cocaina, violenza e vite alla deriva. Il sangue scorre nei fiumi d’acqua piovana che bagnano la capitale colombiana. Scorre la pioggia che tutto lava via, e si mischia alla rugiada del mattino sull’erba macchiata di sangue. Tra viaggi in taxi e fughe in Suv, tra quartieri malfamati che brulicano umanità derelitte e allo sbando, va in scena un Collateral in pura, cocainica salsa colombiana. E se il regista ammette similitudini con il capolavoro di Michael Mann, quasi chiede “venia” per le similarità evidenti dichiarando di non aver visto Tom Cruise nel ruolo del killer a spasso in taxi se non dopo aver girato il suo. La cocaina scorre senza sosta, aspirata in ogni scena, motore delle azioni e delle violenze, compagna della notte e testimone crudele delle discese agli inferi. Più della pioggia, più del sangue, può la polvere, onnipresente, infestante, catalizzante.
Il regista Jorge Navas, classe 1973, all’opera prima ma con documentari, videoclip e corti considerevoli (e considerati) alle spalle, co-sceneggia, dirige e produce con polso una storia “nera” anche nel colore, ambientando la storia in una notte piovosa, fredda e sporca. Divide il film in due netti tronconi, due narrazioni che si intersecano grazie proprio al buio, all’ignoto che tutto travolge. Una prima parte, che vive di una continua, sottile tensione erotica non risolta e una crescente tensione di violenza, racconta dell’incontro casuale di due solitudini, lui tassista che ha perso il fratello da poco ucciso da una gang di cui poco si saprà e lei, donna alla deriva, incapace di gestire una vita tra sesso e cocaina consumati per sublimare la mancanza di emozioni. Una seconda parte adrenalinica getta lo spettatore per quasi un’ora dentro il fuoristrada di un boss assuefatto alla polvere bianca che rapisce i due, vagando per la città, in fuga. Il tutto raccontato facendo coincidere quasi in toto il tempo della narrazione con il tempo della durata effettiva del film. Espediente utile all’immedesimazione dello spettatore, ennesimo spunto collateriano che rende ogni secondo l’ultimo, ogni scena potenzialmente una svolta narrativa. Ma la narrazione – e qui sta il punto debole di un film comunque interessante – spesso si perde in pause di ritmo, in sofismi visivi di primi piani dell’attrice esordiente e moglie nella vita del protagonista, Gloria Montoya, nel ruolo della vittima-testimone involontaria caduta nella spirale senza via d’uscita. Una via d’uscita che coincide con il sole del mattino, la luce, di nuovo.
Una Colombia che ricorda La vergine dei sicari del film di Barbet Schroeder tratto dal libro di Fernando Vallejo (per lo scrittore lo sfondo di Medellìn con una storia omosessuale, qui la violenza di strada di Bogotà). Film che trasudano polvere da sparo, odore acre del sangue, olezzo di una paura che è condizione perenne dell’esistenza quotidiana. La Colombia è tutta nelle parole iniziali del vocalist della discoteca: “Applaudiamo i narcos che fanno grande la Colombia, lunga vita alla cocaina!”. Sangue e pioggia si mescolano, ancora e ancora. Il destino di un paese raccontato tutto in una notte di disperazione e violenza. Con una mano registica forse meno pretenziosa e una sceneggiatura più coraggiosa la resa finale avrebbe forse giovato.
(La sangre y la lluvia); Regia: Jorge Navas; sceneggiatura: Jorge Navas, Carlos Henao, Alizé Le Maout; fotografia: Juan Carlos Gil; montaggio: Sebastián Hernández; musica: Sebastián Escofet; interpreti: Gloria Montoya, Quique Mendoza, Hernán Méndez, Julio César Valencia, Weimar Delgado, Juan Miguel Silva; produzione: Jorge Navas; origine: Colombia, 2009; durata: 100’
