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LADY VENDETTA

Pubblicato il 6 gennaio 2006 da Salvatore Salviano Miceli


LADY VENDETTA

Vincitore nel 2004 del Gran Premio della Giuria al festival di Cannes, Park Chan-wook porta in concorso al Festival di Venezia il capitolo finale della sua trilogia della vendetta: Sympathy for Lady Vengeance (Lady Vendetta). Additato come uno dei possibili vincitori del Leone d’oro, Park conduce la sua eroina dentro un mondo dominato da insanabili contrasti. La protagonista si muove tra angeli e demoni, oscillando verso una vendetta che, come una sorta di cristianesimo ridotto ormai al suo contrario, dovrebbe portare alla redenzione. Rimasta in carcere per tredici anni per un omicidio mai commesso, Lee Geum-ja (Lee Young-ae) esce di prigione dovendo fare i conti con una identità ormai scissa, acquisendo la consapevolezza di essere ormai divisa o, più propriamente, contesa tra luce e tenebre. Deflagrando con puntuale e cinica perseveranza l’emisfero del drammatico, fino a rilevarne l’ironia e finanche la sporadica comicità sottesa dietro ogni lacrima, Park firma un’opera il cui interesse investe sia la realizzazione formale che le scelte narrative. Rispetto ai due precedenti capitoli, si giova della presenza di una donna come interprete principale che, probabilmente, lo spinge verso un ambiguo, quanto contraddittorio, lirismo perfettamente incarnato dal volto della protagonista. Ogni sentimento, ogni pulsione viene condotta sino allo stremo, giungendo in una sorta di limbo che rende possibile la contaminazione tra elementi, almeno apparentemente, opposti. È una rivincita più meditata quella che ci propone Park in questo suo ultimo film. Non ci sono cambi di ritmo o sequenze travolgenti. È solo un fiume che corre verso l’inesorabilità di una conclusione che noi spettatori aspettiamo, sicuri della sua manifestazione, ma che lascia comunque interdetti una volta che si attualizza. Il cinismo, questa volta, non si manifesta nella violenza fisica ma si dipana nei volti, nei repentini cambi di pensieri e motivazioni che animano, alla fine, i partecipanti a quella che diventa iconografia di una vendetta collettiva. Tra lacrime e sigle di conto corrente, uno dei tanti paradossi della pellicola, si esaurisce la fine del film, ironica come l’intreccio che l’ha preceduta, graffiante e conclusiva con quel “tofu”, simbolo coreano di redenzione, mangiato con famelica voracità. Il film di Park lascia una sensazione di coinvolgimento al riaccendersi delle luci in sala, ma getta anche i germi per una riflessione critica che matura con il passare del tempo, quando in mente tornano immagini, sequenze, volti, sensazioni che chiedono di essere interpretati. È un buon film.


CAST & CREDITS

Regia: Park Chan-wook; Sceneggiatura: Chung Seo Kyung, Park Chan-wook; Direttore della Fotografia: Chung Chung Hoon; Scenografie: Choi Hyun Souck, Han Ju Hyung; Montaggio: Kim Sang Bum, Kim Jae Bum; Costumi: Cho Sang Kyoung; Interpreti: Lee Young-ae, Choi Min-sik, Oh Dal-su, Kim Shee-hu, Lee Seung-shin, Kim Bu-seon; Produzione: Moho Film; Distribuzione Italiana: Lucky Red; Corea 2005.


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