Layla Fourie - Concorso

“Una delle poche cose, anzi forse la sola ch’io sapessi di certo era questa: che mi chiamavo Mattia Pascal”. La non troppo dolorosa nascita di Adriano Meis rivela che neanche questo è vero, ma a Mattia Pascal, anche se “defunto” rimane l’onore del titolo. Così a Layla Fourie, che vediamo all’inizio della pellicola sottoporsi alla macchina della verità e rispondere ad una serie di domande in un modo che alla fine della sua storia non potrà più essere valido. L’unica risposta giusta dovrebbe essere quella sulla sua identità, ma non siamo proprio certi che sia rimasta la stessa.
Layla Fourie è una madre single che sbarca il lunario facendo la cameriera ma che scopriamo aver fatto un corso presso l’Istituto Poligrafico per imparare ad utilizzare la macchina della verità. “Se ognuno dicesse la verità, saremmo tutti più felici” dice al suo nuovo capo appena superato il colloquio, anche se vivere a Johannesburg, con morti ammazzati per strada e poliziotti che girano con il giubbotto antiproiettile, non è il luogo del mondo dove puoi coltivare molte illusioni sul tuo prossimo. E infatti il suo lavoro consiste nell’utilizzare la macchina per colloqui professionali, per verificare se veramente i candidati ad un posto di croupier o di autista in un casinò di provincia non hanno avuto precedenti penali, non bevono, non rubano e non si drogano, posto che, come afferma con giusto cinismo il suo boss, “là fuori è pieno di pazzi privi di etica che mentono senza problemi su qualunque cosa”.
Layla ha un figlio piccolo che è costretta a portare con sè e mentre guida nottetempo, a causa di un incubo del bambino, si distrae e investe un uomo che a sua volta si era fermato perchè aveva investito un babbuino. Prova a portarlo in ospedale ma l’uomo nel frattempo muore, prova a parlare con la polizia ma all’idea di essere arrestata e perdere suo figlio la voce le muore in gola. L’unica è disfarsi del cadavere in una discarica, il problema è che il defunto è il padre di uno dei candidati al posto di lavoro, che gli è caduto un cellulare nella macchina di Layla e che tutto avviene sotto gli occhi del suo bambino piccolo, Kane, e i bambini, si sa, hanno bisogno di certezze assolute su come comportarsi e non tollerano incoerenze e soprattutto bugie da parte degli adulti.
Comincia in maniera avvincente il film della regista olandese Pia Marais, anche se non è nuova sotto il sole l’idea dello scambio di ruoli tra vittima e carnefice, giudice e colpevole, assassino e poliziotto: un po’ Dürrenmatt, un po’ Pirandello, anche un po’ di Rashomon, dato che oltre a Layla quasi nessuno dei personaggi legati alla vittima sembra dire la verità sulla notte della sua morte. La sceneggiatura però tende a complicarsi in maniera un po’ inverosimile, forzando i rapporti tra Layla e il figlio della vittima, Eugene (interpretato da August Diehl che da anni ormai sfoggia le stesse occhiaie e la stessa limitata espressività), che la porta a casa sua inserendola nel suo contesto familiare senza nessun motivo plausibile, seminando false piste (una misteriosa aggressione nella villa della matrigna, l’incontro con l’amante del morto) e facendo apparire sempre nuovi personaggi coinvolti nella vicenda. Layla non ha neanche bisogno di imparare a mentire, perchè chi conosce le dinamiche psicologiche della menzogna (“chi mente è sottoposto a stress perchè, diversamente da chi dice la verità, ha due risposte”) riesce a padroneggiarla, e questo raffredda la suspence e qualsiasi forma di empatia. Gli indizi contro di lei, tuttavia, si accumulano costringendola a prendere una decisione, che probabilmente è quella di cambiare vita e identità, ma i cui dettagli alla regista sembra superfluo comunicare allo spettatore.
(Layla Fourie); Regia: Pia Marais; sceneggiatura: Horst Markgraf, Pia Marais; fotografia: André Chemetof; montaggio: Chris Teerink, Mona Bräuer; interpreti: Rayna Campbell (Layla Fourie) August Diehl (Eugene Pienaar), Rapule Hendricks (Kane), Terry Norton (Constanza Viljoen); produzione: Pandora Film Produktion GmbH; origine: Germania, Sudafrica, Francia, Belgio, 2013; durata: 105’
