X

Su questo sito utilizziamo cookie tecnici e, previo tuo consenso, cookie di profilazione, nostri e di terze parti, per proporti pubblicit‡ in linea con le tue preferenze. Se vuoi saperne di pi˘ o prestare il consenso solo ad alcuni utilizzi clicca qui. Chiudendo questo banner, invece, presti il consenso allíuso di tutti i cookie



Roma 2015 - Le confessioni di Thomas Quick

Pubblicato il 21 ottobre 2015 da Antonio Pezzuto

VOTO:

Roma 2015 - Le confessioni di Thomas Quick

Le confessioni di Thomas Quick, pseudonimo di Sture Ragnar Bergwall, è una storia, svedese, che negli anni Novanta ebbe molta risonanza (locale). Si narra di un uomo, criminale violento, con problemi psicologici e dipendenza dalla droga, che una volta arrestato viene inserito in un programma di riabilitazione psichiatrica.

Un programma molto all’avanguardia, che, tra le altre cose, lo sottopone a continue sedute e lo imbottisce di benzodiazepina. Un giorno, sulla riva di un lago, quest’uomo confessa all’infermiera che lo ha in cura, di avere ammazzato e violentato, tredici anni prima, un bambino: Johan Asplund. A questa confessione ne seguono altre. Altre confessioni, 38 per la precisione, nell’arco di dieci anni. Bambini, adolescenti, prostitute, ragazzine. Omicidi brutali, cannibalismo, violenze sessuali su corpi martoriati. In Svezia, Norvegia, Finlandia. Tutti ammazzati da lui, biondi, ebrei o neri che fossero. E per ogni omicidio, la confessione, il processo e la condanna. Thomas confessava. Si dava le colpe e continuava a riempirsi di psicofarmaci e di terapie, in questa clinica arroccata tra i boschi svedesi, dove si pensava che ogni criminale è criminale perché ha un passato di violenza subita, e che se si riesce a far riaffiorare la memoria (della violenza e del male fatto), la tendenza criminale può essere sconfitta. Thomas Quick i suoi omicidi non li ricordava bene, ma le sapienti domande, i quotidiani e i libri letti (American Psycho su tutti) e la benzodiazepina lo aiutavano. Così un giorno, nel 2001, Thomas decide di disintossicarsi. Butta gli psicofarmaci, non parla più con la polizia e rimane, per sette anni, chiuso in un totale mutismo. Sette anni di silenzio, finché un giorno, diciassette anni dopo la prima confessione, Thomas confessa di aver sempre mentito, di non avere mai ammazzato nessuno. Lui confessava qualsiasi cosa, alla polizia e agli psichiatri, perché voleva mantenere i privilegi che la clinica gli garantiva e anelava la dose giornaliera di psicofarmaci. Abbandona lo pseudonimo, ritorna a chiamarsi Sture Bergwall, riprende il rapporto con la famiglia, si affida a due giornalisti che riescono a mettere in crisi l’intero apparato accusatorio, e, felicemente, nel 2013, dopo 23 anni di manicomio criminale, torna libero.

Ci racconta questa storia Brian Hill, sessantenne regista britannico, con una attitudine un po’ troppo televisiva (ma questo film è già uscito nelle sale in Gran Bretagna), confondendo continuamente le carte, mescolando realtà e finzione. Se la storia di Thomas non la si conoscesse, si resterebbe incerti su cosa sia vero o falso, su quanto e cosa sia ricostruito. «È una storia molto complicata - dice Hill - e si svolge lungo molti anni. Io non credo che si sarebbe riusciti a capire cosa Sture ha fatto senza raccontare la sua infanzia e la sua adolescenza, e cosa lo ha spinto a fare la prima confessione. E uno dei modi per fare capire la storia era di ricostruire alcune delle scene chiave». Il documentario, così, ci spiazza continuamente, dando indizi che poi vengono persi, dimenticando cose, ricostruendone altre. E la mancanza nel racconto di tutte le persone che hanno dato credito a Thomas Quick (e che in fondo hanno creato il personaggio) lascia ancora di più nel dubbio. Non si racconta solo la storia di un uomo, ma quella di una collettività (la clinica, la polizia, i magistrati, la società svedese intera) che crede forsennatamente a quello che vuole credere, in buona fede, senza colpe e senza negligenze nemmeno professionali.

Le confessioni di Thomas Quick racconta come è facile far crollare tutti i nostri sistemi più complessi, l’intero sistema giurisdizionale di una nazione come la Svezia che per trentanove volte ha accusato e condannato questo uomo per i crimini più efferati, la più innovativa clinica forense svedese, psichiatri di grido, poliziotti integerrimi, la stampa, i genitori delle vittime. Questo perché nella vita come nel cinema, di finzione o documentario, credere o meno è solo questione di volontà di chi guarda.


CAST & CREDITS

Le confessioni di Thomas Quick; Regia: Brian Hill; Fotografia; Roger Chapman; Montaggio: Mags Arnold; produttore: Katie Bailiff; origine: G.B, 2015; durata: 95’ Proposta di voto: 4 stelle su 5


Enregistrer au format PDF