Le ragioni dell’aragosta

Meno rabbia di Viva Zapatero!, meno urgenza, meno esplosività e più nostalgia. Più amore per la commedia e riflessione sulla satira stessa, sul mestiere di attore satirico. E omaggio alla figura dell’attore.
Le Ragioni dell’Aragosta è un film in forma di documentario, un po’ docu-drama, un pò mockumentary e un po’ fiction. Perché, se non è vero quasi nulla, non è neppure tutto finto: i protagonisti si immergono nella finzione, ma recitano se stessi. E spesso la regia sfuma nel montaggio scattoso e psicologico di cultura cinematografica. E’ comunque un film: un film politico e sul teatro satirico, forse sul teatro come forma espressiva collettiva. Gradevole, equilibrato nelle forme, sveglio e simpatico. E’ la storia di un gruppo di attori comici che prendono a cuore una causa sociale e si mettono a sua disposizione attraverso la composizione di uno spettacolo. I pescatori di un borgo sardo dal buffo nome di “So pallosu”, specializzati nella pesca di aragoste, versano in gravi difficoltà professionali a causa dell’esponenziale sparizione di materia prima e crostacea.
Sabina Guzzanti, in forma smagliante, ma con un atteggiamento diverso rispetto a quello impetuoso, viscerale e torrentizio di Viva Zapatero!, si inventa questa colorata idea di partenza e richiama a sé un gruppo di “compagni” con cui vent’anni fa fece una delle sue cose migliori: Avanzi. Partiamo dalla loro simpatia, dalla loro familiarità per un road-movie transtirrenico. E fare strada con Fassari e Masciarelli assieme, significa sperare che il viaggio sia il più lungo possibile. I due si passano la palla e le battute sulla scia di un vecchio affiatamento e di una scuola comica che parte dalla stessa cultura romanesca. Ma il Tirreno dura quel che dura e ritroviamo Francesca Reggiani, Pier Francesco Loche e assistiamo all’arrivo fragoroso di Cinzia Leone. Più tardi, l’eccentrica attrice si lascerà andare ad una pericolosa confessione intima che spalanca le porte della sua malattia, e ci mostra di sfuggita le stanze più dolorose di quei momenti. Il documento scava sotto la pelle e da l’idea di essere sincero fino all’osso. Penetra però velocemente in quello spettacolo del dolore che la comunicazione di sinistra osteggia e stigmatizza ad ogni occasione. Non è chiara né motivatissima questa scelta autoriale, ma la verità della confessione rimanda ad oltranza un giudizio negativo sull’operazione.
Sabina è il collante del gruppo, la monaca saggia, il talento umile che mette in ordine ogni situazione. E infatti ammetterà di aver fatto un film sull’agire, sulla difficoltà di organizzarsi e di aggregare. E’ lei che coordina e fa, più della regista vera, Franza Di Rosa, che si limita a certificare, quasi da Presidente della Repubblica, i fatti e i misfatti di quest’allegra, malinconica, esperta e goffa compagnia. Sabina prova a raccontare il proprio mestiere e la propria esperienza, tra ricordi espressi in pillole di un “come eravamo” e rapide occhiate nei buchi della serratura di un mestiere bello dall’esterno e faticoso, anche se affascinante, da vicino.
Rivediamo una serie di creature satiriche e se dovessimo fare una classifica vincerebbe sicuramente “l’operaio della fiat che parla come Agnelli” inventato da Stefano Masciarelli. La sua imitazione dell’avvocato è straordinaria, mitico l’aneddoto in cui il Giovanni dalle erre mancanti si complimentò con l’imitatore dandogli del “Masciarini”. Bravi anche tutti gli altri a raccontarsi e raccontare.
La Sardegna di sfondo è riservata e silenziosa, ma mai muta, mai insignificante. I mirti che invadono timidamente la scena e qualche raro sprazzo di azzurro mare, insaporiscono efficacemente questo carnevalesco e scapigliato film. Ma la satira dov’è? Dov’è il politico? Ce n’è. Meno violento e sfacciato di Viva Zapatero!, più leggero, sottile, eppure costante. Uno dei pescatori, secondo l’artificio guzzantesco, fu operaio della fiat e solo all’inizio degli anni ’80 se ne tornò sull’isola, affascinato dall’idea di cooperativa e da un lavoro collettivo senza più padroni né operai. La guzzanti parte proprio dall’80, dalla famosa manifestazione di piazza dei quarantamila quadri: erano gli anni della massima contestazione operaia, ma anche gli anni più insanguinati dal terrorismo interno. Guido Rossa era stato ucciso poco prima, ma questo la Guzzanti non lo dice. Lo sciopero ad oltranza degli operai fiat provocò una contromanifestazione di quadri e dirigenti. Il numero altissimo di partecipanti contribuì a far siglare, quasi subito dopo, un accordo tra l’azienda e gli operai. Fu una svolta rapida, confusa, sfavorevole alle masse, che di fatto stabilì la fine di una lunga e dolorosa, ma anche importante, stagione storica. Quel fatto significò molte cose per il Paese, e Sabina lo prende a simbolo di una fine. Il montaggio vuole che il faccino di Arcore, come metonimia dell’epoca che sarebbe venuta poi, segua queste sequenze di documenti segnati dal tempo. La fine e l’inizio. Il congedo dalla politica e l’abbandono alle poppe, agli spot e alle pentole dei canali 4, 5 e 6. Il viaggio è costante e veloce fino ai giorni nostri.
Qualche chicca di Storia italiana e di Storia della tv di Fassari: “All’inizio degli anni Novanta, tutte le parti politiche erano impegnate a tirarsi fuori dai guai di Tangentopoli, e a noi lasciavano fare quel che volevamo. Anche perché eravamo giovani. Ecco come è nata e come è diventata grande Avanzi.”
E poi, il secco giudizio su un Occidente morto che sopravvive sfruttando i restanti ¾ del pianeta, un Occidente che ha bisogno di spostare all’esterno le cause della propria crisi, e che trova nei nemici inventati la forma perfetta per dar forma a questa esigenza.
Le ragioni dell’aragosta è l’accennato tributo ad una generazione viva, che con le armi più nobili, ma spesso inefficaci, ha provato a fare per il Paese ciò che altri avevano smesso di fare. Alla rassegnazione e al leggero decadentismo della narrazione risponde un finale saggio e suadente che asupica un mondo migliore in cui mantenere vivi i desideri che meritano di essere desiderati.
Un’opera degna e linguisticamente discreta. Più decisa nell’atteggiamento che nei comportamenti. Un film interessante e dolce.
Regia: Sabina Guzzanti; sceneggiatura: Sabina Guzzanti; costumi: Antonio Marcasciano Shore; fotografia: Caroline Champetier Sellers; montaggio: Clelio Benevento Shore; interpreti: Sabina Guzzanti, Pierfrancesco Loche, Francesca Reggiani, Cinzia Leone, Stefano Masciarelli, Antonello Fassari; musiche: Maurizio Rizzuto, Riccardo Giagni; scenografia: Antonio Marcasciano; produzione: Fandango; distribuzione: Istituto Luce; origine: Italia 2007
