LE SILENCE DE LA FORÊT
E’ una storia archetipica quella raccontata da Ouénangaré e ba Kobhio nel loro lungometraggio d’esordio. Un uomo abbandona il suo paese d’origine alla ricerca di una vita migliore. Dopo aver vissuto e studiato in Francia, torna in Africa animato da quelle che gli appaiono delle ottime intenzioni: importare nel paese d’origine le regole di “civiltà” apprese lontano. Vuole fare qualcosa per la sua terra. Preso dalla furia missionaria, non esita ad abbandonare una carriera privilegiata e corrotta di funzionario governativo per unirsi ad una tribù di pigmei che vive nel cuore della foresta secondo riti e tradizioni immutati da secoli. I presunti “primitivi”, pur ridendo della sua altezza e delle sue strane abitudini individualiste, fondamentalmente non gli sono ostili (lo curano, gli insegnano a cacciare e a pregare, non esitano a celebrare il suo matrimonio con una donna della tribù, etc.), tuttavia rifiutano tenacemente di farsi “educare” da lui. Che si tratti di imparare l’alfabeto francese o di costruire capanne quadrate invece che tonde, la resistenza che oppongono è fiera e tenace. Tutto quello che per l’ “uomo alto” è essenziale, la scrittura ad esempio, per loro è incomprensibile o esilarante (le lettere francesi sulla lavagna scatenano un’irrefrenabile ilarità), mentre l’attitudine a ignorare i segnali divini così come le parole dell’anziano capotribù viene considerata un’imperdonabile presunzione. Le ripetute infrazioni del protagonista vengono mal sopportate finché non si arriva al sacrilegio irreparabile: l’uomo tenta di fuggire portandosi dietro il figlio nato dall’unione con la donna pigmea. Per gli uomini della tribù il neonato è figlio della foresta, il padre naturale non ha alcun diritto di allontanarlo dagli antenati e dalla terra in cui è nato. Consumatasi violentemente la rottura, al protagonista non resta che tornare in città con passo malcerto, spogliato di ogni velleità missionaria, denudato dalle identità presunte. Il viaggio nel cuore profondo della sua terra, dunque della sua anima, si è rivelato assai più fatale dell’emigrazione in un paese lontano. Aldilà dell’intreccio da fiaba morale, Le silence de la forêt si rivela un film interessante soprattutto per l’abile commistione fra fiction e documentario che caratterizza il nucleo centrale e decisivo del film e che ha il notevole merito di filmare la vita quotidiana dei pigmei con uno sguardo lontanissimo dalla fredda curiosità antropologica cui siamo abituati in questa parte di mondo.
[aprile 2004]
regia: Didier Ouénangaré, Bassek ba Kobhio, sceneggiatura: Didier Ouénangaré, Bassek Ba Kobhio e Marcel Beaulieu dal romanzo omonimo di Étienne Goyemidé,fotografia: Pierre-Olivier Larrieu, suono: Yvan Dacquen, montaggio: Joseph Licide, musica: Manu Dibango, interpreti: Eriq Ebouaney, Sonia Zembourou, Nadège Beausson Diagne, Philippe Maury e i pigmei del villaggio di Akungu, produzione: Les Films Terre Africaine (Camerun), Ecrans Noirs (Repubblica Centrafricana), Centre National du Cinéma (Gabon, origine: Repubblica, Centrafricana/Camerun/Gabon, 2003, distribuzione: Mercure International, formato: 35mm, col., durata: 93’